La vittoria dei «no» al referendum per l’indipendenza della Scozia ha aperto lo scontro tra Cameron e Miliband sul futuro del Regno Unito. Alla vigilia del voto il premier aveva promesso, con l’avallo dei Labour e dei LibDem, maggiori poteri per il parlamento scozzese. Scongiurata la secessione, i termini dell’accordo sono stati chiariti ieri. In altre parole, Cameron vorrebbe che solo «i parlamentari inglesi votino per le leggi inglesi», soprattutto in materia di Sanità e Scuola (la riforma sarà discussa dalla Commissione parlamentare guidata dall’ex ministro degli Esteri William Hague). Nel suo discorso a Downing Street, Cameron ha annunciato che questo sarebbe stato il prezzo della Devolution Revolution promessa alla Scozia in caso di vittoria dei «no» alla vigilia dello storico referendum di giovedì. «Abbiamo sentito la voce degli scozzesi, ora dobbiamo sentire la voce di milioni di inglesi», ha detto Cameron. Ma i piani del leader Tory hanno fatto andare su tutte le furie i nazionalisti scozzesi che non potrebbero più dire la loro per esempio su questioni fiscali.

I laburisti invece, la cui base elettorale in Scozia si è fatta sedurre non poco dal fascino della secessione, sebbene non sembrino soddisfatti dagli annunci di Cameron, non hanno proposto una chiara alternativa. Il leader laburista Ed Miliband ha duramente criticato i passi del premier, accusandolo di perseguire gli interessi di partito. In più, il leader Labour ha chiesto di indire una costituente per ridefinire gli accordi sul voto in parlamento, pensando alla possibile formazione di una seconda camera federale per rappresentare le quattro nazioni (Scozia, Galles, Inglilterra e Irlanda del Nord). In altre parole, i laburisti vorrebbero che per la prima volta nella storia la Costituzione inglese venisse messa per iscritto rimpiazzando la House of Lords con un Senato delle nazioni. Se i parlamentari scozzesi non potranno votare sulle leggi inglesi (la cosidetta questione «West Lothian» dal nome del parlamentare che la sollevò nel 1977) sarà improbabile che i Labour potranno avere la maggioranza in parlamento in assenza dei deputati che rappresentano le regioni (come la Scozia) dove tradizionalmente ottengono più seggi.

E così il principale gruppo di centro-sinistra ha chiesto che non vengano introdotte due classi di parlamentari (Scozia contro Inghilterra e viceversa). La vice presidente dei Labour, Harriet Herman ha assicurato che: «Non si può risolvere un problema posto dal basso con una decisione imposta dall’alto». Secondo il politico, Cameron spinge per una Devolution forzata per tendere una trappola ai laburisti e raggirare gli euroscettici dell’Ukip. Ma Cameron è pressato anche da destra. Alcuni deputati Tories hanno definito inaccettabili le concessioni fatte in extremis all’ex premier laburista Gordon Brown, presentato dai media come «l’uomo che ha salvato la nazione» nel suo discorso fiume alla vigilia del voto, quando ha promesso nuovi poteri agli scozzesi nel caso bocciassero la secessione (ma Brown ha anche assicurato che non tornerà nella politica attiva).

Gli incidenti di Glasgow
Gli incidenti di Glasgow

Dopo il voto, la calma non è tornata per le vie di Glasgow nonostante il richiamo al «rispetto», arrivato dalla residenza estiva della regina a Balmoral. Sei persone sono state arrestate nella notte di venerdì durante violenti scontri fra indipendentisti e unionisti. Un gruppo di sostenitori del «sì» all’indipendenza si era radunato a George Square quando è stato aggredito da fiancheggiatori del fronte del «no». La polizia è intervenuta per separare gli indipendentisti da alcuni skinhead, provenienti da un pub frequentato da unionisti, la Louden Tavern, nella vicina Duke Street.
In Scozia è poi già pronto il successore del leader dei nazionalisti (Snp) e promotore del referendum, il premier Alex Salmond, dopo le sue dimissioni che hanno scioccato non poco la campagna per il «sì» alla secessione. Sarà Nicola Sturgeon, 44 anni, la prossima leader donna del governo scozzese. Sturgeon si è sempre definita «a sinistra» rispetto a Salmond, non solo, la sua figura è cresciuta enormemente nei due anni di campagna elettorale.

Come se non bastasse, banche e giganti finanziari si sono rifiutati di garantire che rimarranno in Scozia dopo la vittoria degli unionisti. L’assenza di garanzie sui possibili aumenti delle tasse, che il parlamento scozzese di Holyrood potrebbe approvare in caso vengano accresciuti i suoi poteri, stanno preoccupando non poco i colossi finanziari della City. Eppure lo smantellamento del Regno Unito non è riuscito agli scozzesi a cui non resta che tuffarsi nella lettura del racconto, appena uscito, di Hilary Mantel «L’assassinio di Margaret Tatcher» in cui immagina di uccidere la principale fonte delle disuguaglianze sociali di cui soffre il Regno Unito nel giorno in cui vide per la prima volta la «lady di ferro» da una finestra nel 1983.