Un gesto barbaro e orrendo, considerato uno dei massimi sacrilegi nella cultura antica: la furia distruttrice sul monumento e sul percorso letterario che all’Idroscalo di Ostia ricordano l’assassinio di Pier Paolo Pasolini, è una vera bestemmia contro ogni civiltà.

Un militante anonimo l’ha rivendicata attribuendola al movimento “Militia” con una telefonata all’Adn Kronos, lasciando anche uno striscione sul terreno che contesta al poeta proprio la poesia, e lo accusa invece di omosessualità e pedofilia.

Sembrano parole e concezioni d’altri tempi, rivelatrici invece di qualcosa che ci riguarda tutti, nonostante appaia vigliacco e fuori tempo.

Intanto è una smentita ai molti che, proprio in occasione di questo quarantennale della morte, hanno mostrato anche “a sinistra” fastidio e insofferenza per una persona e un modo di pensare ormai appartenente, secondo loro, a un passato irrecuperabile.

Forse sarà stato ora il fastidio per il nuovo film che l’assassinio ricostruisce con tutti i suoi eccessi narrativi (dalla mamma a Pelosi), o anche per l’esteriorità un po’ vanesia del ministro della cultura che lo scorso 2 novembre si è fatto un selfilm come fosse un fantasma con un fiore alla tomba, ma la violenza sul monumento ci pone altre priorità: che ancora una volta si concentrano nella necessità inderogabile di leggerlo e conoscerlo, il poeta.

E di passarlo ai giovani che non sanno o neanche immaginano che già quarant’anni fa Pasolini frugava nel registro dei misfatti del petrolio, sulla corruzione politica e sulla omologazione di massa, sul progresso che si trasforma in trappola mortale, sulla libertà dei corpi destinati a restare intrappolati nel pregiudizio.

Come fosse oggi, appunto.