In un’Europa spostata sempre più a destra, Alejandro Amenabar interviene tornando all’insegnamento della storia con Mientras dure la guerra, (Finché dura la guerra) che racconta il periodo precedente alla presa del potere del caudillo Francisco Franco nella Spagna del 1936. Il regista cileno naturalizzato spagnolo, dagli innumerevoli premi Goya, Gran premio della giuria e premio Oscar per Mare dentro riportò in scena la filosofa Ipazia (Agora) cancellata dalla memoria e torna a mettere in scena un intellettuale: protagonista del film è qui il poeta e filosofo basco Miguel de Unamuno, rettore dell’Università di Salamanca, già deputato, critico nei confronti della gestione repubblicana («né ordine, né pace, né pane»), sostenitore dell’Alzamiento nazionalista con l’idea che i militari avrebbero riportato l’ordine.

La storia ci ha più volte ripetuto che dove entrano in scena i militari siamo già dentro la dittatura, e come sia inevitabile la messa al bando degli intellettuali, anche quelli riconosciuti internazionalmente come era Unamuno («voi intellettuali sempre cercate di cambiare il mondo ma da casa, dalle pagine dei libri, mentre noi siamo sempre in prima linea» gli rinfaccia il «grande mutilato» Millan-Astray y Terreros fondatore della legione spagnola).

LA FRASE di Unamuno inserita nel manifesto dell’università è interpretata come a sostegno del regime, la salvaguardia della «civiltà cristiana occidentale» gli diede poi la fama di collaborazionista, ma è anche uno degli indizi che fa del film apparentemente inoffensivo, uno strumento di attualità politica, per le parole d’ordine e le situazioni che si ripetono oggi, sottovalutate, non solo in Spagna ma anche nel resto dell’Europa e nel latinoamerica di Bolsonaro, della destra rampante.
Le frasi tolte da un confronto, isolate come slogan sono la specialità della destra che non è in grado di sostenere la dialettica: «Vincerete perché avete forza bruta in abbondanza, ma non convincerete. Per convincere bisogna persuadere». Con queste parole pronunciate il «Giorno della razza» all’università di Salamanca, che gli causarono la destituzione dall’incarico, il filosofo riscattò la sua posizione, poco prima della sua morte.

IL RACCONTO di Amenabar ha un andamento pacato, fin troppo discorsivo e incline a smussare gli spigoli, ad addolcirli con scene di sogno e di infanzia, di quotidianità e dolcezza, in un momento storico che cambierà il volto della Spagna, forse a mostrare come la vita quotidiana possa apparire «normale» quando invece stanno per precipitare gli eventi con l’avvento di una dittatura (la famiglia di Amenabar si rifugiò da Santiago a Madrid l’anno dopo la sua nascita, nel 1973 del golpe) .

Così quasi didatticamente, come in uno sceneggiato, si riportano puntualmente i fatti, le prime leggi che limitano la libertà, poi gli arresti dei suoi colleghi e dei suoi amici come il prete protestante accusato di massoneria, il suo studente prediletto accusato di comunismo e le esecuzioni senza processo a cui non vuole credere. I pieni poteri sarebbero stati dati a Franco solo per la durata della guerra, invece durarono fino alla sua morte nel 1975.

NELLA SEZIONE Onde di Massimo Causo vanno cercate immagini più indisciplinate: uno sguardo a Sganzerla e uno a Bressane, molti di più alla città di Rio de Janeiro in occasione delle Olimpiadi 2016 con gli sventramenti delle favelas: è Sofà del brasiliano Bruno Safadi, dove con un pizzico di udigrudi, parecchia street art contemporanea e perfino qualche ricordo vitale dal free cinema convivono ritmicamente. Era infatti negli anni Sessanta che nei film si traslocava apertamente per strada, trasportando a mano i letti di ottone come a significare una nuova vita da iniziare. Qui invece Joana d’Arc ha perduto la sua casa, buttata giù per costruire la sopraelevata e l’unica cosa che recupera dalle acque (alla maniera di Due uomini e un armadio), è un divano. Scoprirà poi che Rio non è una città per poveri.

DAL BRASILE anche Yesterday there Were Strange Things in the Sky di Bruno Risas, un video che si appropria dell’essenza stessa dei corpi dei familiari che il tempo farà dissolvere, menti che già sono in un’altra dimensione, tratti del viso da catturare: nei gesti sempre uguali della vita di famiglia, entra sottile l’inquietudine e Risas la sa catturare.