Il governo Piñera può sentirsi soddisfatto. La sua intransigenza ha pagato. Gli otto prigionieri politici mapuche del carcere di Angol, ormai allo stremo, hanno interrotto giovedì lo sciopero della fame che portavano avanti da 123 giorni, il più lungo della storia del loro popolo.

A CONVINCERLI sono stati i familiari e gli avvocati, preoccupati per il loro stato di salute, sempre più critico dopo la rinuncia anche ad assumere liquidi. «Abbiamo chiesto ai compagni di porre fine a questo sacrificio», ha spiegato il portavoce Rodrigo Curipán, denunciando la mancanza di disponibilità del governo a negoziare, ma rifiutandosi di parlare di sconfitta. Saranno le autorità governative, ha aggiunto, ad assumersi «la responsabilità di tutto ciò che potrà avvenire d’ora in avanti».

Si attende adesso la decisione che prenderanno gli altri detenuti che hanno iniziato più tardi lo sciopero della fame (da circa 60 giorni), a cominciare dai 12 del carcere di Lebu, che lunedì, senza alcun avviso né al tribunale, né ai familiari o agli avvocati, sono stati trasferiti con la violenza prima al lontano ospedale «Los Angeles», e poi, da lì, a un altro carcere, quello di El Manzano. E ciò senza alcun riguardo per il loro delicato stato di salute, malgrado alcuni di loro facessero fatica persino a muoversi.

CHE PER IL GOVERNO si tratti in ogni caso di una vittoria di Pirro non ci sono dubbi. La sua inflessibilità nei confronti dei prigionieri politici e delle loro rivendicazioni – l’applicazione concreta della Convenzione 169 dell’Oil sui popoli indigeni, peraltro già ratificata dallo Stato cileno – non ha infatti certo contribuito a migliorarne l’immagine, soprattutto a fronte dell’estrema cedevolezza mostrata dinanzi allo sciopero condotto dai camionisti per esigere la rapida approvazione dei progetti di legge repressivi presentanti da Piñera durante le proteste dei mesi scorsi. Uno sciopero che ha potuto contare sulla benevola vigilanza dei carabineros – i quali, al contrario, non hanno esitato a reprimere qualsiasi contro-manifestazione – e che si è concluso con un bel pacchetto di misure concesse dal governo, accompagnato dalle pressioni di Piñera sul Parlamento affinché vengano approvati al più presto i provvedimenti repressivi sollecitati dai camionisti.

ALLE CRITICHE di chi ha contestato l’eclatante differenza di trattamento, il ministro dell’Interno, il pinochetista Víctor Pérez, ha risposto ponendo l’accento sul carattere «totalmente pacifico» della protesta dei camionisti, che per sei giorni hanno bloccato le strade e l’accesso ai porti di Valparaíso e San Antonio in piena pandemia e recessione: «nulla giustificava il ricorso alla legge di sicurezza interna dello Stato, in quanto la sicurezza dello Stato non era in pericolo».

Come se invece la pacifica manifestazione promossa il 28 agosto in Plaza Dignidad a favore dei prigionieri mapuche e non mapuche, immediatamente repressa dalle forze dell’ordine, potesse rappresentare una minaccia alla sicurezza interna.