Nelle carceri italiane ci sono ancora almeno dieci mila detenuti in più di quanti ce ne dovrebbero essere, malgrado le prime misure deflattive, e ci sono «15 malati di Covid-19» (il numero dei positivi al Coronavirus non è pervenuto, però, perché i tamponi non hanno ancora varcato i cancelli degli istituti). Ma il ministro di Giustizia Alfonso Bonafede fornisce solo risposte rassicuranti, ai deputati che lo interpellano durante il question time a Montecitorio, il primo nell’era dell’epidemia.

«Non è possibile accertare adesso quanti detenuti passeranno alla detenzione domiciliare», afferma il Guardasigilli rispondendo alla meno corrosiva delle domande, quella posta dal dem Alfredo Bazoli circa gli effetti delle misure contenute nel cosiddetto «decreto marzo» che stabiliscono i domiciliari per i detenuti che abbiano commesso reati non gravi con residuo di pena di 18 mesi. Ma, aggiunge il ministro come fosse un dato rilevante, a sette giorni dall’entrata in vigore del decreto «sono 50 i detenuti che hanno beneficiato della misura» e «150 quelli in semilibertà cui è stata concessa una licenza in modo da non farli rientrare in carcere la sera». In ogni caso, al massimo ne usciranno 6 mila.

L’alleato Walter Verini è gentile e nella replica lo esorta solo ad «accelerare», perché il carcere, dice, «è una bomba sanitaria», e a «rafforzare il vertice del Dap, con un vicedirettore che manca da tempo». Altri, più diretti, in primis Italia Viva, chiedono invece la testa del capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Francesco Basentini, che ha dimostrato, affermano Lucia Annibali e Gennaro Migliore, di essere «inadeguato».

Più tardi, a fine question time, sarà invece Vittorio Sgarbi a puntare il dito direttamente contro il ministro: «Bonafede, lei è in piena flagranza di reato, dovrebbe essere indagato, perché viola le leggi che il suo stesso governo ha varato, quelle che vietano assembramenti pubblici in luoghi dove non si possa rispettare la distanza di almeno un metro tra le persone».

Eppure,  a preoccupare maggiormente l’esponente pentastellato è piuttosto la Lega che lo accusa di aver varato un altro «svuota-carceri», addirittura un «indulto mascherato», e di aver ceduto alle rivolte scoppiate in vari istituti «dietro una regia e con uno scopo ben preciso: ottenere una premialità», afferma il deputato Jacopo Morrone. Altro che «indulto mascherato», ribatte non a torto Bonafede: «Nelle prime tre settimane di marzo c’è stata una riduzione della popolazione detenuta in carcere, passata dai 61.235 ai 58.592 effettivi», ma non per effetto del «Cura Italia» che, precisa il ministro, «ha avuto un’incidenza stimata di circa 200 detenuti», bensì per via della «legge n. 199/2010, votata dall’allora Lega nord e dal Popolo delle Libertà». E, rispondendo all’accusa di aver speso soldi per i braccialetti elettronici in un momento come questo, il delegato alla Giustizia chiarisce che i 2600 braccialetti effettivamente disponibili e da installare «non hanno costi ulteriori, in quanto compresi nel contratto triennale, siglato nel 2018, per un valore complessivo di 23 milioni di euro».

Per il resto, all’attivo ci sono «145 tensostrutture per il controllo dei nuovi giunti installate all’ingresso dei penitenziari», «quasi 200 mila mascherine chirurgiche e 800 mila guanti monouso consegnati ai provveditorati» per il personale e per gli agenti penitenziari, e l’intento di agevolare la produzione di mascherine all’interno degli istituti (oggi «la produzione si attesta attorno alle 8 mila al giorno»). E per stemperare la tensione, dopo l’interruzione delle visite di familiari e volontari? «A seguito di donazione – chiarisce Bonafede – sono stati acquisiti 1.600 telefoni cellulari e altri 1.600 sono in via di acquisizione» per i videocolloqui e le telefonate dei detenuti.

Da via Arenula è tutto.