Non sarà quella «svolta» sul referendum che ha strillato ieri in prima pagina il Giornale, ma la pacata e argomentata smentita di Fratelli d’Italia – «si tratta di una forzatura giornalistica, ci siamo limitati a ritenere che avendo chiesto il parere dei cittadini ora i partiti debbano fare un passo indietro» – conferma che a sette giorni dal voto il centrodestra sta facendo pesare le convenienze politiche del No almeno quanto la voglia di mettersi in scia al previsto successo del Sì. Del resto le parole che hanno permesso al quotidiano di Berlusconi di annunciare la svolta, Giorgia Meloni le ha dette tutte, domenica sera in comizio a Trani: «Io sono per il Sì, però l’idea che magari la vittoria del No possa creare un sommovimento nel governo rischia di avere la meglio, e non penso che ci si possa sempre girare dall’altra parte di fronte a quello che vuole la gente».

A confermare difficoltà e tentazioni di una destra che in parlamento si è schierata dal primo momento per il taglio dei parlamentari – con qualche titubanza Forza Italia, ma con entusiasmo Fratelli d’Italia e Lega – anche ieri sera Meloni è tornata sul tema, cercando di spiegare che lei è pronta a incassare entrambi i risultati: «Il Sì non sarebbe una vittoria del governo, il test su Conte sono le regionali», ha detto in tv su Rete4. Ma ha aggiunto: «Certo, se ci fosse un ribaltone tale con la vittoria del No, anche il referendum potrebbe diventare un test».

In sintesi, la spallata sul modello Renzi 2016 attira. Ma alla destra manca il coraggio di sfidare il sentimento anti parlamentare, dopo averlo negli ultimi anni incoraggiato quasi ai livelli dei 5 Stelle. I capi dell’opposizione conoscono i sondaggi – anche quello commissionato dal governo e diffuso venerdì per errore e contro la legge sulla par condicio dall’Ansa – e non vogliono regalare alla maggioranza quello che è il risultato più atteso. Da qui la doppiezza: un Sì ufficiale e molti No ufficiosi. Come nella Lega, dove Salvini insiste a rimarcare una coerenza con i suoi quattro Sì in parlamento, ma aggiunge «non siamo una caserma e ognuno deciderà con la sua testa». Molti dirigenti e personaggi in vista degli ex padani hanno già scelto e hanno fatto appelli per il No, a partire dal vice segretario Giorgetti. E Salvini non ha per niente sgradito. Sa bene che se per miracolo il No dovesse vincere lunedì sera, nessuno si metterebbe a cercare gli sconfitti nel centrodestra. Anche grazie alla linea come al solito disinvolta di Berlusconi, quella che i suoi più robusti ma meno duttili alleati stanno tentando di copiare in extremis.

E così anche ieri dalla Lega sono arrivati gli endorsement quotidiani per il No. E non dagli ultimi arrivati: si sono scoperti contro il taglio dei parlamentari sia l’ex viceministro Garavaglia che il presidente della Lombardia Fontana. «L’80% dei nostri elettori voterà No – ha assicurato un leghista di antica data come l’ex ministro della giustizia Castelli – e quanto ai deputati e senatori, penso il 100%»