Va in scena la riconciliazione. Roma, piazza del Popolo, pubblico scarso, tutti seduti a distanza di sicurezza per evitare la solita raffica di critiche. Non è un bagno di folla e neppure si prevedeva che lo fosse. Si tratta soprattutto di segnalare plasticamente che la destra c’è e, nonostante i frequenti screzi, resta unita. Fatte salve di dichiarazioni di rito, le accuse rivolte ai giornali che inventano divaricazioni inesistenti, l’immancabile truculenza salviniana, che accorpa tra i problemi della Capitale «i Rom e i topi», il solo intervento significativo è quello dell’azzurro Antonio Tajani che parla per conto del gran capo Silvio.

«La via maestra sono le elezioni. Speriamo che questi signori ci mandino a votare», dice, ed è quel che Matteo Salvini e Giorgia Meloni avevano bisogno di sentirsi dire dopo l’apertura azzurra a un possibile futuro sostegno al governo, per la verità molto meno netta di quanto i titoloni abbiano fatto credere.

CON QUELL’USCITA Silvio Berlusconi, più che offrire un appiglio a Giuseppe Conte, che pure si è affrettato ad applaudire lo spiraglio dischiuso, voleva lanciare un segnale in vista dell’autunno. Se dopo settembre il governo ci sarà ancora, la destra unita martellerà chiedendo le elezioni, rafforzata almeno nelle previsioni dal possibile 4 a 2 alle elezioni regionali del 20 settembre. Le parole del capo azzurro, in quel caso, saranno derubricate all’abituale chiacchiericcio.

Ma se invece la maggioranza non dovesse reggere agli urti contemporanei della crisi sociale, della prevedibile spaccatura sul Mes, del varo di una Nadef e di una legge di bilancio difficili, dello stillicidio del gruppo 5S al Senato, allora le cose sarebbero ben diverse.

In pubblico e in privato Sergio Mattarella insiste nel confermare l’assenza di alternative: una crisi porterebbe inevitabilmente allo scioglimento della legislatura. Non gli crede quasi nessuno. Tutti, da una parte e dall’altra, sono convinti che se si arrivasse alla caduta di Conte il capo dello Stato ci penserebbe una decina di volta prima di decretare la morte della legislatura. A quel punto tutto tornerebbe in gioco e nessuno è davvero in grado di prevedere gli eventi, neppure con ampio margine di approssimazione: le variabili in campo sono troppe.

BERLUSCONI NON SFIDERÀ il pollice verso di Salvini, non metterà a rischio l’unità della destra. Ma si tratta dello stesso Salvini che pochi mesi fa proponeva il governo di unità nazionale. Cosa farebbe a fronte di una situazione da tracollo del Paese, con le spinte “governiste” di buona parte del suo stato maggiore a partire da Giancarlo Giorgetti e Luca Zaia, nessuno può dirlo. I 5 Stelle sono, al solito, il principale punto interrogativo.

Una maggioranza senza pentastellati e senza FdI è impensabile: il prezzo per Salvini sarebbe troppo alto. La scissione dei 5S, il solo passaggio che aprirebbe davvero la strada a una maggioranza diversa, sembra sempre dietro l’angolo ma l’istinto di sopravvivenza del Movimento ha sempre avuto la meglio e non è affatto detto che non continui così. Il Pd oscilla tra tentazioni opposte, anche se è difficile immaginare che non prevalga l’eterna «responsabilità». Quando il vicesegretario dem Andrea Orlando afferma che «il dialogo con Forza Italia va coltivato con attenzione» ha senza dubbio in mente la necessità di ricucire i rapporti con il partito azzurro, senza il quale la maggioranza assoluta al Senato sarà sempre più a rischio. Ma guarda probabilmente anche a un possibile quadro ben più terremotato in autunno.

Solo che la principale mina sul percorso della maggioranza, cioè la sofferta scelta sul Mes, è un ordigno pericoloso anche per la destra. Per l’opposizione il trauma di una spaccatura al momento del voto sarebbe giocoforza meno deflagrante che per la maggioranza, ma inciderebbe a fondo su una possibile soluzione se non unitaria almeno concordata fra i tre partiti della destra nel prosieguo.

ALLA FINE, A ORIENTARE il corso delle cose sarà la crisi stessa. Se la situazione apparirà tanto grave da rendere impossibile scegliere il voto senza pagare un prezzo elevatissimo in termini di consenso strade oggi quasi impraticabili diventeranno percorribili. Ma a quel punto, salvo tracolli di popolarità nel frattempo, nessuno potrà comunque fare a meno di Giuseppe Conte.