Povero Bobbio. Nel decennale della scomparsa, l’editore Donzelli non ha trovato di meglio che inserire un intervento di Matteo Renzi nella riedizione del best seller del filosofo torinese, Destra e sinistra. Quello del premier è un testo – anticipato domenica da Repubblica – che va considerato lo sfondo ideologico del discorso pronunciato in Senato. Nelle intenzioni dell’autore, immaginiamo si debba trattare di un’esibizione di dimestichezza con un grande intellettuale del Novecento italiano e di capacità d’azione nel campo non solo «del fare», ma anche del pensare. Come s’addice al compito a cui l’ex sindaco è ora chiamato.

A voler essere generosi, la performance teorica di Renzi non è granché. Non sembra avere tratto particolare ispirazione dalle pagine bobbiane, che pur saranno state lette e meditate. È persino difficile ricostruirne la tesi fondamentale, tanto appare confuso e contraddittorio quello che il premier sostiene: siamo lontani dalla limpida chiarezza della prosa di Bobbio. Con un po’ di sforzo, ciò che Renzi pensa potrebbe sintetizzarsi così: il criterio di distinzione fra destra e sinistra non è più individuato dalla diversa risposta alla domanda circa l’uguaglianza, bensì dal diverso atteggiamento nei confronti della coppia concettuale progresso/tradizione (anche nella variante innovazione/conservazione).

Benissimo: ammettiamo che sia così. Ci aspetteremmo allora di trovare la disamina di come si articoli oggi tale contrapposizione. Alcuni esempi possibili: fiducia nella scienza contro superstizione in materia di fecondazione assistita; riconoscimento dei diritti degli omosessuali contro pregiudizi di origine religiosa; negazione del requisito del «sangue» per chi voglia acquisire la cittadinanza; accoglimento delle tesi antiproibizioniste sulle droghe; virata verso il pacifismo nonviolento contro la retorica militaresca e patriottarda. Un profilo che assomiglierebbe a quello dei Radicali, per intendersi.

E invece no. Nulla di tutto ciò, come mostra anche il discorso d’investitura di ieri. Il richiamo alla coppia «progresso/tradizione» è un mero artificio retorico utile al suo scopo ideologico: mettere in soffitta il concetto di eguaglianza come architrave della sinistra. Nella riflessione renziana, progresso significa capacità di «riconoscere e conoscere il movimento continuo delle nuove dinamiche sociali». Un’attitudine giusta in sé, ma che difficilmente può essere ritenuta una definizione di «progresso». E nella quale non c’è nulla di nuovo: se in una cosa la cultura di sinistra ha sempre eccelso, è proprio lo sguardo socio-economico sulla realtà in perenne trasformazione. Da Marx in poi.

Ma quel che a Renzi preme dire è che, acquisita ormai «l’invenzione del welfare», la sinistra «tradizionale» è da rottamare. Quindi anche Bobbio, che, per inciso, aveva posto importanti problemi – in altri libri – che il premier trascura: ad esempio, la democratizzazione della società, la persistenza di poteri occulti, l’antitesi democrazia/tecnocrazia. La «riflessione» su Bobbio serve solo, insomma, a nobilitare intellettualmente l’abbandono dell’idea di eguaglianza. Senza nemmeno riuscirci davvero: alla fine del suo «manifesto», accade che l’ex sindaco evochi «gli ultimi e gli esclusi» che la sinistra – è lui a dirlo – è chiamata a rappresentare. E allora, verrebbe da chiedere al premier: sulla base di cosa individua «ultimi ed esclusi», se non servendosi del concetto (e degli indicatori) di eguaglianza?