Il decennio 1919-1929, quasi coincidente con la durata della Repubblica di Weimar, è la scena ricostruita da Wolfram Eilenberger nel suo Il tempo degli stregoni 1919-1929 Le vite straordinarie di quattro filosofi e l’ultima rivoluzione del pensiero (traduzione di Flavio Cuniberto, Feltrinelli, pp. 405, € 25,00) per raccontare di quattro fra i più importanti filosofi del ’900: Ernst Cassirer è il più vecchio, quindici anni di differenza lo separano da Martin Heidegger e Ludwig Wittgenstein, coetanei; Walter Benjamin il più giovane, ma è il primo a morire, suicida – come si sa – a Port-Bou, sui Pirenei, credendosi erroneamente perduto, destinato a finire nelle mani dei nazisti.

Fisionomie distanti
A chi ne conosca un po’ la personalità e abbia letto qualcuna delle loro opere, questi quattro Zauberer («maghi», «stregoni», «incantatori») – come li chiama l’autore – non potrebbero apparire più diversi. Cassirer, colto ebreo borghese ben assimilato nella cultura tedesca, cosmopolita, ammiratore di Kant e Goethe, erede della grande tradizione illuminista; Heidegger, «l’ultimo sciamano», il maestro più amato e odiato, uno dei filosofi più controversi di tutti i tempi, per la sua grande mente e per la sua umanità meschina, per i suoi amori extraconiugali (il più celebre ed enigmatico, quello con Hannah Arendt) e le orripilanti lettere scritte alla moglie, per la profondità del pensiero e il suo delirante antisemitismo, nonché, ovviamente, i discussi rapporti con il nazismo; coetaneo di Heidegger – ma morto di tumore ben prima del coboldo della Selva nera – era l’ex-miliardario austriaco Wittgenstein, colto e omosessuale, scostante e tormentato, il cui ritorno a Cambridge nel 1929 (dopo la sua prima grande opera, il Tractatus, la sua rinuncia alle ricchezze di famiglia e un decennio trascorso in un paesino austriaco a fare il maestro elementare) veniva descritto, in una lettera di Keynes, con queste parole: «Dio è arrivato, l’ho incontrato sul treno delle cinque e un quarto»; e infine Benjamin, forse ancora più «irregolare» di Wittgenstein, forse altrettanto geniale, ma di indole tutta diversa. A eccezione di Heidegger, figlio di un sacrestano cattolico – erano tutti ebrei: Cassirer finì a Yale, Wittgenstein abbandonò l’Austria ben prima del nazismo, Benjamin ne fu vittima, Heidegger complice.

Una esigenza comune

Cosa tiene insieme queste figure così diverse nell’avvincente puzzle narrativo messo insieme dall’autore? Tutto il libro di Eilenberger – nell’ottima traduzione del filosofo Flavio Cuniberto – si dipana tra un punto di partenza comune e un punto d’arrivo che sembra coinvolgere solo Cassirer e Heidegger – rappresentanti di due modi lontanissimi di concepire la filosofia e la vita, la cultura e i suoi compiti – ma a cui Eilenberger immagina che potesse partecipare anche Benjamin. Tra buona divulgazione filosofica, biografia, storia, e fantafilosofia (situazioni e dialoghi tra i protagonisti mai accaduti, ma solo immaginati), Eilenberger descrive l’esigenza comune che muove questi diversi caratteri, segnati da destini altrettanto diversi: «La sfida specifica che i giovani filosofi si trovano a fronteggiare nell’anno 1919 si può riassumere anche così: si tratta di fondare, per sé e per la propria generazione, un progetto di vita che si muova al di fuori della “gabbia” di “destino e carattere”». Sul piano biografico, ciò significa tentare di evadere da schemi famigliari, religiosi, nazionali allora dominanti e, in secondo luogo, «trovare un modello di esistenza che permetta di metabolizzare l’intensità dell’esperienza bellica, trasferendola nell’ambito del pensiero e dell’esistenza quotidiana».

Attingendo alle maggiori biografie dei quattro «stregoni» – oltre che alla loro corrispondenza, alle loro opere e a una ricca letteratura – Eilenberger è capace di restituire al lettore, nei tratti più generali, i loro percorsi di pensiero, ma entrando talvolta in brevi e chiare esegesi di passi famosi e meno famosi. Sul piano storico-biografico, il libro è pieno di avventure di diversa importanza, dagli amori che si fanno e si disfano alle risonanze dei grandi eventi europei e mondiali, dai rapporti tra la famiglia Cassirer e i vicini antisemiti alle trame accademiche: veniamo a sapere, per esempio, che nel 1919 (l’anno in cui fu assassinata Rosa Luxemburg), Cassirer – che aveva appena cominciato a lavorare a quella che sarà la sua opera più importante, la Filosofia delle forme simboliche – riceve una lettera dal professore William Stern, dell’Università di Amburgo, che gli offre finalmente una cattedra.

William Stern era un famoso psicologo, ma era anche il padre di Günther, noto con lo pseudonimo di Günther Anders, che sarà allievo eretico di Heidegger, primo marito dell’amante del suo maestro (Hannah Arendt), ostinato e stravagante profeta del disastro tecnologico-mediatico-militare della nostra epoca, critico della «pseudoconcretezza» del pensiero heideggeriano, artefice della fuga in America della sua ex-moglie e del suo nuovo marito e così via. Peccato che di lui non vi sia alcuna traccia nel libro.
Ma se, come si diceva, il punto di partenza viene identificato nei diversi tentativi dei quattro «stregoni» di scardinare la gabbia di «carattere e destino» che li opprime, il punto focale dell’intero libro è «la disputa del secolo» tra Heidegger e Cassirer, avvenuta a Davos nel 1929. In questa «tempesta di parole» si affronta apparentemente una diversa lettura del pensiero kantiano, al cui centro – però – sembra esserci la quarta domanda posta da Kant, dopo quelle celebri su quel che posso conoscere, su quel che devo fare e sperare: che cosa è l’uomo? Dalla risposta a questa domanda – che ricomprende le prime tre – discendono conseguenze decisive riguardo al compito della filosofia, alla natura della libertà umana, a quella della stessa civiltà nel suo complesso.

Cassirer e Heidegger
Si confrontano, insomma, due visioni diverse di stare nel mondo, riassunte così dall’autore: «La tesi di Cassirer: liberatevi dall’angoscia in quanto esseri creativi, liberatevi dalle vostre ristrettezze e dai vostri limiti originari attraverso la pratica dei linguaggi come scambio di segni condivisi. La tesi di Heidegger: liberatevi dalla cultura come pura inerzia e sprofondatevi, come quegli esseri gettati e infondati che siete, ciascuno per sé nell’origine liberatoria della vostra esistenza: il nulla e l’angoscia!». Di lì a poco Cassirer sarebbe emigrato con la sua famiglia negli Stati Uniti, e Heidegger avrebbe scritto opere straordinarie, macchiandosi al tempo stesso di infamie indelebili per le sue collusioni con i nazisti e il suo delirante «antisemitismo metafisico».