Lo scorso 5 ottobre, in una serata romana ancora estiva e temporalesca, si apriva alla librogalleria Diagonale – la piccola Shakespeare & Co. di via dei Chiavari – un vernissage di Gianni Dessì (fino al 5 novembre), di recente ritorno dal successo riscosso in Cina, dove la sua visione di poeta del pennello e della modellatura si è arricchita di nuovi entusiasmi, germogliati, come arditi steli di bambù, su vecchie passioni. Ne sono un primo assaggio le opere esposte alla Diagonale (ideogrammi «immaginari», frammenti di esistenza): ventuno disegni in inchiostro di china su carta cinese, due oli su tela, una scultura in ceramica raku vanno, infatti, a comporre, nello spazio affollato che lo ospita, il suo Studio integrale di Confucio (Diagonale/Librogalleria, pp. 63), che nel catalogo, dedicato a George Wong, si accompagna alla riproduzione del testo ideogrammatico corredato dalla traduzione italiana di Ezra Pound, Ta Hsio. Studio integrale, pubblicata a Rapallo nel 1942.
Pound, una delle vecchie passioni di Dessì, è stato – benedicente congiunzione di stelle! – il traghettatore del passaggio di Dessì a Pechino, non solo per avergli aperto da giovane – con le sue poesie e gli studi sull’ideogramma – «la porta delle immagini multiple, dell’accostamento fantastico e analogico», ma perché proprio l’omaggio a lui dedicato in tu x tu (2010) fu acquistato dal collezionista George Wong, capitato (per caso?) a Roma. Il tu x tu è parte di un dittico composto da una imponente scultura in resina e fibra di agave di colore giallo fluo, riproducente i lineamenti del poeta, presentata per la prima volta in una mostra allestita a Bolzano (luogo familiare al vecchio Pound), in contrappunto con Giallo mio, un olio su tela, un autoritratto post-informale di Dessì, il quale si specchia nelle, o – confucianamente – dialoga con le parole del «Maestro». Il giallo per Dessì è «colore che sollecita tutto. È il materializzarsi di una visione che s’avvicina all’accadimento». La «visione» in atto: ecco il grande insegnamento dell’ideogramma.
Secondo Pound, il sinologo americano Ernest Fenollosa, del quale ereditò le ‘carte’ nel 1914, «cercò di farci capire che un solo ideogramma può presentarci: un occhio che guarda diritto nel cuore, nel cuore guardato, e l’azione del guardare». Si pensi quindi all’idea nuova dell’«immagine» come puro ‘condensato’ e «apparizione» (l’«Apparuit» dantesco), dedotta da Pound, trasformandola – a fondamento del rivoluzionario Imagismo – in un’illuminazione fugace («in un istante di tempo»), in cui la realtà si presenta nella sua essenzialità, la sua bellezza: «Questi volti apparsi tra la folla / Petali su un ramo umido e nero». Come per Dessì, la focalizzazione del poeta, in questo haiku sulla neonata (e infernalmente non gradevole) metro parigina (una nekuia), è sul volto (l’io, il ‘cuore’: l’essenza) trasfigurato in petali giapponesi. Da queste letture sortisce il graduale superamento da parte di Dessì della obbedienza alle modalità dell’arte informale, come apprese da Toti Scialoja, l’altro suo Maestro.
Alla Diagonale vediamo in presa diretta (perché ormai non più solo letteraria) la mediazione operata dall’esperienza in Cina (un simbolico inchiostro nero dell’ideogramma sul bianco della carta). Pur restando ferme sul piedistallo «informale» di partenza, la trasferta ideogrammatica si nota soprattutto nelle chine a commento dei vari passi dell’austero «Testamento» di Confucio, in cui le figure umane in nero si stagliano nette sullo sfondo bianco, solo in alcuni casi smosso da lievi pennellate in giallo o azzurro-celeste. Le figure invece appaiono come masse sature di materia coloristica in gestualità attiva (come nell’interazione compressa nell’ideogramma), e senza le consuete sbavature di Dessì. Dunque: densità dentro i vuoti. Oppure, in un solo caso, un agglomerato nero, con accennati sgocciolamenti in giallo e ‘celeste-cielo’, in cui c’è da leggere di tutto, anche in controluce apparizioni nascoste, opache metamorfosi (leonardiana pareidolia, Vexierbilder?). Sulla quarta di copertina ci congeda Vox, olio su tela: netto si staglia un volto maschile, un volto che parla, perché la bocca è segnalata da una luce gialla (Confucio?): il giallo è la «parola».
Il busto di Confucio lo ritroviamo in una sorta di alcova sacrale della Diagonale, rappresentato in una scultura in ceramica raku grigio-nera con spruzzature gialle, marchiata frontalmente da un rettangolo verticale nero: la dinamica dell’interiorità che si proietta all’esterno. La visone che riceve lo spettatore obbliga al silenzio, alla pura contemplazione, sullo sfondo della tacita eco delle parole del Saggio. Anche qui Dessì ha creato una specie di sua camera picta.
Peccato che di Confucio si sappia poco in Italia ma anche nella moderna Cina di lui si sono dimenticati (lo dice il loro indaffarato presente), e quindi un riconoscimento va anche a Eugenio Lo Sardo il quale, in una Postfazione al catalogo in giallo, ci aggiorna sulle prime scoperte del pensiero confuciano in Europa.
«L’ideogramma – scriveva Ezra Pound in una “Nota” introduttiva al suo Studio integrale – è una ‘stenografia di quadri’, un sistema di disegni ‘abbreviati’, standardizzati e innalzati a funzione ideologica». Detto tutto in due parole. Sembra facile il passaggio dal dire al fare. Ma in quel passaggio quanto studio, quanta disciplina, umiltà, determinazione, estro, capacità, visione (arte del vedere, come insegnava Pound): quanto lungo cammino!