Il Sudafrica dice addio a uno degli ultimi sopravvissuti di una generazione di eroiche figure della lotta contro l’apartheid, artefici di quello che viene considerato il maggior lascito per le generazioni future dei born free, i nati dopo il 1994: un Sudafrica libero. E se Mandela viene riconosciuto come il più grande leader e statista del Sudafrica, Desmond Tutu ne ha rappresentato la sua bussola morale.

DURANTE LA PRIGIONIA di Mandela negli anni 80, Tutu è stata la voce globale della lotta contro l’apartheid. Come Mandela, fino alla sua morte si è impegnato nella costruzione di un Sudafrica non razziale, senza disuguaglianze economiche e povertà. Nel perseguire questo impegno non ha risparmiato critiche al governo di maggioranza nera dell’African National Congress (Anc), accusato di non fronteggiare questi squilibri estremi e i mali ereditati dell’apartheid.

 

Con Nelson Mandela (foto Ap)

 

Dopo essere diventato il primo presidente nero del Sudafrica, Mandela aveva chiesto a lui di presiedere la Truth and Reconciliation Commission (Trc), la Commissione per la verità e la riconciliazione. Ruolo nel quale, come ha detto il presidente Ramaphosa, ha articolato in modo succinto «l’indignazione universale per le devastazioni dell’apartheid» dimostrando la profondità del significato di ubuntu, riconciliazione e perdono. Forse questo elemento pur rappresentando la forza di quella che Tutu nel 1994 – dopo la prima elezione democratica del Sudafrica – ha definito The Rainbow Nation, la società sudafricana multirazziale post-apartheid, dove bianchi, neri, coloured e indiani lavorano e vivono insieme come un popolo unito, è stato anche uno degli elementi più controversi attribuiti alla sua figura.

LA COMMISSIONE ha ricevuto critiche da ogni fronte. Per i bianchi sostenitori dell’apartheid ha rappresentato una caccia alle streghe mentre per molti sudafricani neri una amnistia ai crimini commessi. Se si considera l’apartheid un crimine contro l’umanità il fatto di trattare i suoi sostenitori e chi ha agito contro di esso con lo stesso metro di giudizio è difficile da accettare.

NEL SENTIMENTO DI LUTTO nazionale che segue la morte di una figura di tale grandezza, la maggior parte delle persone ne celebrano il lascito, ma ci sono anche molti sudafricani che lo interrogano. Per alcuni la transizione democratica si è trasformata nel cammino verso lo status quo neoliberista che definisce la storia sudafrica post apartheid disilludendo la sua trasformazione in una reale democrazia multirazziale. Alcuni, specialmente tra i giovani ritengono che i rainbowists – sostenitori della Rainbow Nation– abbiano svenduto il Paese in nome del perdono e che una posizione critica debba invece essere mantenuta in relazione alla propaganda conciliatrice della Trc.

Eppure Tutu era convinto che «solo la verità, il riconoscimento di quello che è successo, la rabbia e il dolore, possono portare perdono e guarigione, e solo attraverso il perdono ti puoi liberare dall’oppressore». È la visione di un uomo di fede, che molti tra coloro che avevano sofferto l’oppressione dell’apartheid, difficilmente riescono a condividere.

Un altro aspetto problematico emerso dal lavoro della Commissione è stato il trattamento riservato a Winnie Mandela. Secondo alcuni Winnie è stata ritenuta più responsabile dei crimini dell’apartheid rispetto allo stesso regime dell’apartheid. E la durezza con cui la Commissione la interroga è sembrata direttamente collegata alle opposte posizioni assunte nel tempo da Mandela e dalla sua ex moglie e compagna di lotta.

TUTU HA ESTESO la sua caparbietà nella lotta contro l’apartheid a un sentimento di compassione per tutti coloro che avevano sofferto l’oppressione in Sudafrica. E per gli oppressi di tutto il mondo, a cominciare dal popolo palestinese sotto l’apartheid vigente in Israele.
In una società profondamente conservatrice e patriarcale come quella sudafricana Tutu si è sempre schierato a favore della comunità lgbt. Durante la presidenza di Thabo Mbeki, quando malgrado l’altissimo numero di contagi il governo aveva assunto una posizione negazionista sul diffondersi dell’Hiv, si è battuto a sostegno dei trattamenti antiretrovirali per tutte le persone malate.

TUTU HA FERMAMENTE CREDUTO nel progetto di costruzione nazionale e in una utopia che desse speranza ad un paese devastato non solo da anni di apartheid ma anche dalla estrema brutalità interna che ha caratterizzato gli anni immediatamente conseguenti la liberazione di Mandela nel 1990 e le prime elezioni democratiche in Sudafrica nel 1994.

La violenza di quegli anni metteva a forte rischio il complesso processo di transizione democratica. Quando, nel 1993, l’attivista nero Chris Hani fu assassinato da un estremista anticomunista con stretti legami con Arm, un’organizzazione neonazista paramilitare suprematista bianca, Tutu ha implorato la calma e nessuna vendetta. Seriamente preoccupato per l’evolversi della situazione chiese la fine della violenza in quanto, secondo le sue parole, «l’uccisione ucciderà il nuovo Sudafrica prima che abbia inizio». Fu proprio l’assassinio di Hani ha persuadere il Multi-Party Negotiating Forum sulla urgente necessità di fissare una data per le prime elezioni democratiche in Sudafrica. Elezioni che vedranno l’Anc e Mandela vincere con il 62.9% di voti.

DOPO PIÙ DI 25 ANNI dalla fine dell’apartheid, la violenta diseguaglianza nel paese dimostra come questa utopia sia molto distante dall’essere realizzata, e come le critiche che Desmond Tutu non ha mai risparmiato all’Anc siano fondate. I risultati di due anni della Commissione Zondo, un’inchiesta pubblica istituita nel gennaio 2018 dall’ex presidente Jacob Zuma per indagare sulle accuse di corruzione e frode nel settore pubblico in Sudafrica, dimostrano l’enorme distanza tra gli ideali che furono alla base del movimento di Black Liberation dell’Anc, e il sistema di corruzione e di interessi privati che caratterizzano la politica del partito oggi.

Ironicamente le indagini hanno portato alla reclusione dello stesso ex presidente a luglio di quest’anno, e a rivolte interne nel paese tragicamente comparate con la violenza dei primi anni novanta.

Errata Corrige

Nazione arcobaleno, riconciliazione, diritti di tutti. Le mille battaglie e utopie di un arcivescovo che è stato la voce globale della lotta contro l’apartheid durante la prigionia di Nelson Mandela