Si è conclusa con la vittoria del governo Moreno la battaglia attorno alla controversa consulta popolare svoltasi domenica in Ecuador.

Un esito prevedibile, considerando che per il «Sì» ai sette quesiti (tutti con un sostegno superiore al 63%) erano schierati, oltre al governo, anche le destre e i mezzi di comunicazione, e persino, seppure in maniera critica, i principali movimenti indigeni ed ecologisti, un tempo alleati di Correa, prima di accusarlo di aver tradito la Costituzione – introducendo 23 cambiamenti in 9 anni -, e di aver criminalizzato la protesta sociale, additando come uno dei massimi pericoli «il radicalismo di sinistra, l’ecologismo e l’indigenismo infantile».

La sconfitta non ha piegato l’ex presidente, per il quale il 36% circa di «No» all’eliminazione della cosiddetta «rielezione indefinita» (eliminazione che non gli consentirà di ripresentarsi alle elezioni del 2021), come pure il 37% di voti contrari alla riforma del Consiglio di partecipazione cittadina e di controllo sociale rappresentano un grande successo per il suo movimento, considerando le condizioni di estremo svantaggio in cui si è svolta la campagna per il «No», effettivamente oscurata dai mezzi di comunicazione.

Quanto al governo di Lenin Moreno, se finora, grazie al suo atteggiamento dialogante, ha raccolto consensi sia a destra che a sinistra, è evidente che non potrà più permettersi di tergiversare. Ed è fin troppo facile prevedere che, se deluderà le aspettative dei settori imprenditorali, questi inizieranno a fargli la guerra e se, al contrario deciderà di soddisfare le loro richieste, dovrà fare i conti con le mobilitazioni di un popolo che ha saputo rovesciare tre presidenti in meno di 10 anni. Decisamente, Moreno non avrà vita facile.