«Sono felice di aver scelto Claudio Descalzi come ceo di Eni. Potessi lo rifarei domattina. Io rispetto le indagini e aspetto le sentenze». Con questo tweet garantista ieri mattina il premier Matteo Renzi si è lavato le mani in modo pilatesco riguardo alla nuova tempesta giudiziaria che ha colpito il gigante petrolifero italiano in Nigeria.

Poco conta che le notizie che continuano a trapelare dagli uffici della Procura di Milano confermano che non si tratta della solita corruzione che olia gli ingranaggi dei governi dei paesi in via di sviluppo per l’assegnazione delle licenze petrolifere in mezzo mondo. E a cui l’Eni non è nuova dopo la condanna in Nigeria nel caso Bonny Island nel 2010, le indagini in corso sulle operazioni Saipem in Algeria, gli affari poco chiari emersi più volte in Kazakistan, e le inchieste, sempre sul cane a sei zampe, in Iraq e Libia.

Nel caso della licenza offshore Opl245 nelle acque nigeriane sembrerebbe che una parte delle mazzette, oggi bloccate a Londra e in Svizzera – 190 milioni di dollari dei 1.092 totali da pagare – sarebbe stata destinate agli stessi manager Eni. Questo quanto testimoniato dall’ex-ministro del petrolio nigeriano Dan Etete, che nel 2012 nel contesto di un processo a suo carico a Londra sostenne che l’affare era una truffa dei vertici ai danni del proprio gruppo. Defraudare la società che uno guida è un’accusa pesantissima per l’amministratore delegato Descalzi, nominato solo lo scorso maggio e già indagato a Milano per corruzione internazionale nell’acquisto dell’Opl 245.

Suona surreale la sicurezza con cui Renzi difende Descalzi in 140 caratteri, in particolare quello «lo sceglierei di nuovo» al vertice della società. Appena conquistato Palazzo Chigi, Renzi era alla caccia di nuovi manager esterni per l’Eni, così come per le altre società controllate dallo Stato, al fine di dare un segnale mediatico di discontinuità e freschezza a uno dei primi atti attesi dal nuovo governo. C’era addirittura chi aveva giustificato l’accelerazione politica e il cambio di governo da Letta a Renzi proprio perché le nuove nomine premevano e con queste si poteva riconfigurare la mappa del capitalismo italiano (di Stato) e il sostegno politico a un nuovo esecutivo. Renzi, secondo le cronache di allora, Descalzi in realtà non lo voleva, ma alla fine sulla nomina l’hanno spuntata il ministro Pier Carlo Padoan e l’apparato del ministero dell’Economia. Eppure all’assemblea degli azionisti che incoronò Descalzi il nuovo amministratore delegato non era presente, lasciando il palco all’uscente Paolo Scaroni, che prima di lasciare si prese la sua rivincita. Nella stessa assemblea, infatti, gli standard anti-corruzione “di elegibilità” voluti dal governo per la nomina dei nuovi vertici non furono approvati. Uno schiaffo memorabile soprattutto per Renzi, che con la loro presentazione aveva di fatto giustificato la defenestrazione di Scaroni dopo la condanna ricevuta ad inizio anno per il disastro ambientale dell’impianto di Porto Tolle quando era amministratore delegato dell’Enel.
Morto il re Scaroni, lunga vita al suo delfino, che rimaneva per dare continuità alla condotta della società e alla politica energetica italiana da questa di fatto decisa. Qualcuno avrebbe pensato che la nuova indagine giudiziaria poteva essere l’opportunità per una rivincita per Renzi che, seppur garantista, poteva togliersi qualche sassolino dalla scarpa e riprendere voce in capitolo sulla più importante società italiana.

Ma così non è stato. Renzi ha scelto la linea della remissività proprio quando viene discussa la riforma della giustizia, e si agisce sulla magistratura “politicizzata”, la quale ora dà fastidio anche alle aziende italiane campioni nel mondo. Ma senza guardare troppo lontano, oggi emerge un chiaro dato politico. Il governo Renzi ha difficoltà sul fronte dell’energia, questione infuocata in Europa e nella politica estera oramai su tutti gli scenari internazionali, e non sapendo come uscirne si affida ancora una volta al management dell’Eni. Sarebbe stato molto più coraggioso – e necessario – un tweet “stai sereno, Claudio”, di lettiana memoria.