Donald Trump ha sorpreso tutti promettendo di svelare i dettagli di un consistente taglio fiscale, entro la prossima settimana, assicurando che «mercoledì ci sarà un grande annuncio» senza rivelare altri particolari di ciò che è certamente uno sforzo enormemente complicato per riorganizzare la fiscalità americana.

Lo sforzo riguarda il tentativo di Trump di realizzare una delle promesse elettorali entro i primi 100 giorni, visto che con il muro con il Messico, il muslimban e l’Obamacare finora non è andata bene.

Di questo annuncio non sapeva nulla nessuno ed ha colto di sorpresa Capitol Hill lasciando senza parole i funzionari del Tesoro; proprio poche ore prima, il segretario del Tesoro, Steven Mnuchin, ai giornalisti che chiedevano quanto avrebbero dovuto aspettare per sapere qualcosa della riforma fiscale, aveva detto: «La riforma fiscale è troppo complicata».

Le intenzioni del presidente non coinvolgono solo le tasse degli americani ma anche le norme fiscali e le regolamentazioni finanziarie che Obama aveva imposto a Wall Street dopo la crisi finanziaria, manovra considerata da molti minima ma percepita da Trump come eccessiva e da cancellare.

La manovra di Obama era mirata ad evitare l’anomalia delle banche too big to fail, troppo grandi per fallire e che in caso di crisi devono ricorrere ad interventi pubblici che non possono essere negati.

Il piano che Trump vuole cancellare prevede il processo per la liquidazione di aziende a rischio, che al momento fa capo al governo federale, così come quello che giudica il livello di minaccia per il sistema finanziario delle aziende in difficoltà.

«Elimineremo tutte le regole dannose», garantisce Trump provocando la risposta immediata della Fed, che ha parlato di mossa pericolosa e di una seria minaccia per la stabilità finanziaria e la crescita dell’economia americana.

I paletti di Obama erano una pressione verso le imprese che collocano i quartieri generali all’estero nel tentativo, neanche troppo velato, di pagare meno tasse. L’obiettivo dichiarato dall’amministrazione Trump, invece, è quello di alleggerire le procedure ed i lacci burocratici e ridurre le spese necessarie per conformarsi alle regole.

Oltre a ciò Trump ha in programma una riduzione delle tasse che renda gli Stati Uniti meno costosi dal punto di vita fiscale per le società, in modo da riportarle in America rendendo meno appetibile l’estero.

Il piano di Trump è molto semplice: basta applicare una deregulation affiancata dalla riforma del fisco che arriverà la prossima settimana.

Questo approccio semplicistico ai problemi complessi è proprio ciò che ha portato al fallimento delle altre proposte fino ad ora naufragate: «Nessuno credeva che la riforma sanitaria potesse essere tanto complicata», aveva affermato stupito Donald dopo il fallimento del Trumpcare bocciato dal suo stesso partito, scoprendo che la retorica da chiacchiere da bar, dove tutti sono esperti di Medio Oriente quanto di neurochirurgia, tradotta in prassi governativa non funziona.

Ciò che ha portato Trump alla presidenza è stata anche la convinzione di molti di saper raddrizzare il sistema andando di accetta ed ignorando un quadro ampio di equilibri in cui inserire le riforme, e che hanno votato «uno di loro», che la pensa assolutamente così: non servono statisti quando puoi fare un taglio qui e là per rimettere le cose a posto.

Quel minimo di riforma messa su a fatica da Obama serviva a non replicare il settembre 2008. Quel sistema era sbagliato all’origine, è vissuto più del necessario ed è morto. Ora Trump vorrebbe resuscitarlo, un disastro annunciato.