Mosca chiede spiegazioni a Israele e Damasco e Tehran condannano con forza i raid aerei compiuti domenica dai cacciabombardieri israeliani nei pressi della capitale siriana e sul confine con il Libano. La Siria ha anche chiesto la condanna dell’Onu e sanzioni vere contro Israele. «Questo attacco alla Siria è stato fatto per sollevare il morale dei terroristi che sono stati sconfitti a Nabal, al-Zahraa, Dayr az-Zor, Kobane e nel Qalamoun» dall’esercito governativo, ha commentato ieri il ministro degli esteri siriano, Walid al-Muallem, dopo aver incontrato il suo omologo iraniano, Mohammad Javad Zarif. Mentre al Muallem rilasciava queste dichiarazioni, Damasco, dopo mesi di calma relativa, è ripiombata nel pieno della guerra civile. Bombardamenti aerei e di artiglieria e scontri armati hanno scosso ieri la capitale siriana. Colpi di mortaio sparati da forze sunnite ribelli sono caduti in piazza degli Abbasidi, nella parte centro-occidentale di Damasco. Combattimenti tra le forze armate governative, sostenute da combattenti di Hezbollah, e gruppi jihadisti ribelli sono divampati anche a Jawbar mentre l’aviazione governativa ha colpito più volte i sobborghi orientali della capitale. Una fiammata della guerra civile che conferma l’intenzione delle forze ribelli e jihadiste di portare la guerra di nuovo anche a Damasco, nel cuore del territorio centrale della Siria controllato dalle forze lealiste.

Il governo Netanyahu non ha commentato le accuse di Damasco. Ha mantenuto la sua posizione abituale: non conferma ma neanche smentisce i raid aerei contro la Siria (l’ultimo risale allo scorso marzo). La responsabilità israeliana in realtà è nota a tutti. Non ammetterla però consente a Tel Aviv di evitare possibili (ma assai improbabili) condanne internazionali per le sue azioni militari. Stavolta però il clima politico interno, particolarmente avvelenato, ha mandato in fumo questa strategia del governo Netanyahu. Yifat Kariv, una deputata del partito “Yesh Atid”, passato all’opposizione dopo l’espulsione dal governo del suo leader, Yair Lapid, ha pubblicamente ipotizzato che i raid aerei contro la Siria siano stati ordinati da Netanyahu nel tentativo di puntellare le sue credenziali in materia di sicurezza, in vista della campagna per le elezioni del 17 marzo. «Netanyahu non riesce a mettere insieme una coalizione di governo alternativa e così ha deciso di alimentare paure e di infiammare il Medio Oriente», ha affermato Kariv. «Signor primo ministro – ha aggiunto – questa volta non funzionerà». Un esponente del Meretz (sinistra sionista), Ilan Gilon, altrettanto pubblicamente si è augurato che l’attacco aereo «non serva al premier per le primarie del Likud», previste il mese prossimo. Da parte sua il deputato laburista Nachman Shai ha detto di sperare che il governo faccia uso delle «esigenze di sicurezza di Israele, per garantirsi la sopravvivenza politica». Naturalmente i media siriani ieri hanno dato ampio risalto alle dichiarazioni di questi politici, giudicandole una ammissione esplicita della responsabilità israeliana nei raid di due giorni fa, nei quali, ha riferito la televisione araba al Arabiya, sarebbero rimasti uccisi due combattenti di Hezbollah. Un giornale israeliano, il Jerusalem Post, ha scritto che i bombardamenti hanno avuto come obiettivo armi pesanti e sofisticate provenienti dall’Iran e destinate ad essere consegnate a Hezbollah. Secondo altre fonti i raid avrebbero preso di mira un carico di missili anti-aerei S-300 di fabbricazione russa, in grado di limitare fortemente la superiorità aerea di Israele nei cieli del Medio Oriente.

L’attacc peraltro è avvenuto nel giorno in cui un rapporto delle Nazioni Unite ha rivelato che Israele intrattiene da mesi contatti costanti e regolari con gruppi militanti di ribelli siriani. Le Forze di Disimpegno degli Osservatori delle Nazioni Unite (Undof), dispiegate lungo le linee di armistizio sul Golan, hanno riferito che ufficiali israeliani e miliziani sostenuti dall’estero collaborano direttamente lungo la frontiera siriana negli ultimi 18 mesi. I peacekeeper hanno anche segnalato di aver visto i soldati israeliani aprire il confine e far entrare persone oltre a miliziani e civili siriani feriti che di solito vengono ricoverati negli ospedali di Safed e Nahariya. «L’Undof – si legge nel rapporto – ha visto almeno dieci persone ferite trasportate da uomini armati dell’opposizione (siriana) attraverso la zona del cessate-il-fuoco … E ha anche identificato soldati della parte israeliana mentre consegnavano in territorio siriano due casse a miliziani dell’opposizione siriana armata».

Si aggrava nel frattempo l’emergenza umanitaria in Siria. Le Nazioni Unite hanno lanciato ieri a Ginevra un appello di raccolta fondi per 16,4 miliardi di dollari destinati a finanziare l’assistenza umanitaria nel 2015 e non pochi di questi fondi serviranno ad assistere i milioni di profughi siriani che vivono tra Turchia, Libano e Giordania. «Oltre l’80 % di coloro che intendiamo aiutare vive in paesi prigionieri di conflitti», ha denunciato Valerie Amos, Sottosegretario generale dell’Onu per gli affari umanitari. Le crisi nella Repubblica Centrafricana, in Iraq, in Sud Sudan e in Siria perciò rimarranno «priorità umanitarie» nel 2015. A queste si aggiungono anche altre “crisi”, alcune delle quali storiche come quella dei profughi palestinesi.