L’emorragia di parlamentari è stata notevolissima: il Partito delle regioni ha perso in un due settimane almeno cinquanta deputati. Ne aveva eletti 185, nel 2012. Adesso ne ha grosso modo 130. Naturale che le cose siano andate così. La fuga di Yanukovich ha provocato uno squarcio enorme nello scafo e in molti provano a mettersi in salvo, dopo che dall’inizio della crisi – il 21 novembre – al cambio di regime avevano votato ogni misura voluta dall’ex capo dello stato. Incluse le famigerate leggi «anti-protesta», pretesto con cui gli estremisti di Pravyi Sektor si sono scagliati in prima linea.

Tra gli ultimi a essersene andati dal partito figura Sergei Klyuev. È il socio principale di Tantalit, la compagnia che controllava la Mezhyhirya, la pacchiana residenza di Yanukovich, ora in via di trasferimento allo stato. La cosa, scrive la stampa, è la prova evidente del collegamento di Klyuev con la «famiglia», la cerchia di persone che negli ultimi anni si sono mosse in simbiosi con Yanukovich, sostenendone tutte le scelte politiche e le tentazioni predatorie. In cambio hanno ottenuto cariche di spicco e dividendi economici. Una cricca.

Klyuev, il cui fratello Andriy è stato capo dell’amministrazione presidenziale, è tra chi ha lasciato il partito sulla base di ragioni economiche e di sicurezza personale. Si tratta di salvare il patrimonio, ma anche la pelle. Una fonte diplomatica riferisce che diversi membri o ex membri del Partito delle regioni sono stati minacciati, segnalando che il voto favorevole da loro espresso su alcuni provvedimenti del nuovo governo si motiva non solo sulla base dell’opportunismo, ma anche della paura di finire tra le grinfie di chi ha voglia di regolare i conti.

Tra chi ha lasciato il Partito delle regioni ci sono anche diversi deputati vicini ai due grandi oligarchi che in questi anni hanno finanziato Yanukovich: Rinat Akhmetov e Dmytro Firtash. Da quando è esplosa la crisi hanno sempre invocato il compromesso tra Yanukovich e opposizioni. Adesso hanno fornito il loro appoggio al nuovo esecutivo, sostenendo che l’Ucraina ha bisogno di riconciliazione. Più che di un cambio di casacca, s’intravede il solito obiettivo oligarchico: tutelare le proprie attività industriali. La crisi che vive il paese potrebbe avere ripercussioni sui loro conti. Il Partito delle regioni, al netto di tutto questo, continua a esistere. Non s’è sciolto.

La fuga di Yanukovich ha aperto una nuova fase, in cui si cerca di contenere i danni, rilanciare l’immagine e preparare le elezioni di fine maggio. Il primo passo è stato scaricare senza indugi Yanukovich. Il 23 febbraio è stato emesso un comunicato di condanna nei confronti dell’ex presidente, sottolineandone la codardia, il vile tradimento e le azioni criminali. Quanto poi s’è trattato di votare in parlamento il mandato di arresto a suo carico, non ci sono stati tentennamenti.

Le prossime mosse saranno la riforma dello statuto, la democratizzazione delle regole interne e il ricambio dei dirigenti, ha recentemente affermato Sergei Tigipko, uomo di punta del partito, in vista del congresso che si apre il 15 di questo mese a Donetsk. In quell’occasione si deciderà anche sulla nomina del candidato alle presidenziali e Tigipko, a quanto pare, è tra coloro che nutrono forti ambizioni. Nella sua carriera s’è diviso tra gli affari e la politica. È stato banchiere, poi consigliere dell’ex presidente Kuchma e di seguito governatore della Banca centrale. Nel 2004 ha coordinato la campagna presidenziale di Yanukovich, la cui vittoria fu ribaltata con la rivoluzione arancione. Dopo l’ascesa del duo Yushchenko-Tymoshenko s’è. Nel 2009 è tornato sulla scena fondando il partito Ucraina forte e l’anno dopo ha preso parte alle presidenziali, ottenendo un sorprendente 13% al primo turno.

Successivamente è entrato nel governo Azarov (fino al 2012) e fatto confluire Ucraina forte nel Partito delle regioni, in cui ha ricoperto ruoli importanti nell’organizzazione.

In generale, Tigipko è ritenuto un pragmatico. Crede che il paese debba avere rapporti vantaggiosi con entrambi i vicini, l’Ue e la Russia. Quando Kiev s’è trovata a scegliere tra gli Accordi di associazione proposti dall’Ue e l’Unione doganale perorata da Mosca, l’ex banchiere ha mostrato una preferenza per la prima opzione. Se venisse scelto come candidato alle presidenziali non avrebbe possibilità di vittoria, ma con il paese è radicalizzato riporterebbe a casa qualche buon voto, su cui costruire il rilancio del Partito. Sempre riesca a prenderne la guida.