Questa volta ci siamo. L’iter per la realizzazione del deposito nazionale per i rifiuti nucleari, si è messo in moto formalmente con la pubblicazione della Guida Tecnica n.29 dell’Ispra che stabilisce i criteri per l’individuazione del sito su cui costruirlo, unitamente all’annesso (e misterioso) Parco Tecnologico.

Questo passaggio decisivo si è imposto, più che per lungimiranza istituzionale, per l’atteggiamento francese che ha rifiutato di accettare altro combustibile nucleare dall’Italia destinato al riprocessamento, fino a quando non si avrà evidenza che il nostro paese intende effettivamente costruire il deposito nazionale.

In parole povere: dato che gli accordi italo-francesi prevedono il rientro in Italia, tra il 2020-2025, dei rifiuti ad alta attività risultanti dal riprocessamento, la Francia non vuole trovarsi nelle condizioni di sentirsi chiedere dall’Italia dilazioni in questi programmi di rientro motivati dalla mancanza di strutture idonee a recepirli.

Una situazione imbarazzante per l’ottava potenza industriale del mondo su cui però, oltre le critiche (doverose) e il sarcasmo (facoltativo), sarebbe opportuno interrogarsi anche come antinucleari. Negli anni trascorsi abbiamo sempre sottolineato la mancanza di soluzioni organiche e strutturali al problema dei rifiuti, con le situazioni intollerabili di Saluggia e Trisaia, ma evitando di prendere di petto il problema del deposito nazionale anche perché rifiutato a furor di popolo lucano nel 2003.
E non poteva essere altrimenti date le modalità di decisione allora adottate e il progetto scelto (geologico). Ma il problema restava e dopo 11 anni è diventato ancora più grande per l’insipienza delle classi dirigenti e degli addetti ai lavori ed oggi non ci sono più margini di tempo a disposizione.

Anche a non voler tener conto dei vincoli che ci vengono dalle direttive europee in materia di sicurezza nucleare, anche a non voler considerare un male che si interrompano i trasporti in Francia per il riprocessamento, resta il fatto che le 30 tonnellate di combustibile che giacciono nelle piscine di Trino e di Avogadro e le 2 tonnellate che si trovano alla Trisaia (per non parlare dei rifiuti Cemex e Itrec),vanno assolutamente rimosse.

Dove metterle? E in quale stato? così come sono (che ne comporta la sistemazione in una cinquantina di contenitori per il combustibile), oppure farle riprocessare? ma allora in qualche modo ci devono arrivare in Francia! (meno quelli della Trisaia che non possono essere riprocessati).
Siamo stretti in una tenaglia costituita, da un lato, da esigenze oggettive di sicurezza e dall’altro dalla inevitabile diffidenza verso tutti coloro che fin’ora hanno detto di operare per garantirla, ma con effetti controproducenti.

Troviamo il modo di uscirne. Innanzitutto con il richiedere al governo di mettere tutte le carte in tavola: la Guida Tecnica 29 fissa dei criteri per la selezione del sito, ma non indica le procedure con cui metterli in pratica, e tutta la materia riguardante l’istruttoria tecnica e socio-ambientale per giungere alla scelta finale del sito è appena abbozzata nei D.Lgs. n. 31/2010 e 45/2014 che per quanto riguarda il coinvolgimento delle popolazioni locali si limitano alla partecipazione di comuni, provincie e regioni ad un seminario tenuto da Sogin.

Al di là dei ruoli specifici dei singoli attori in campo (Sogin, Ispra e Ministeri competenti), qui va posto da subito un problema di effettivo trasferimento di informazioni e di confronto che va sottratto alla logica dei tavoli della trasparenza e delle conferenze stato-regioni perché spostano l’attenzione sugli aspetti negoziali (misure di compensazione economiche, opere accessorie, etc) a scapito di quelli relativi alla sicurezza dell’opera.

Certo non è facile concepire, sviluppare e ancor più far accettare alle istituzioni un modus operandi che consenta alle popolazioni interessate di esprimere un giudizio paritario sugli aspetti dirimenti della questione, dalla scelta del sito alla realizzazione del deposito, e l’unico esempio che mi viene in mente –quello del Third Party Engineer- è del tutto sconosciuto in Italia, ma se si vuole uscire dalla tenaglia di cui sopra non basterà limitarsi ad assecondare il più che probabile rifiuto delle popolazioni locali.