Per motivi esattamente opposti a quelli di Forza Italia che ha promesso battaglia in Senato contro una norma che ritiene a «tutela della verità “condizionata” delle procure», il reato di depistaggio così come è configurato nella proposta di legge approvata dalla Camera mercoledì scorso desta «qualche preoccupazione» anche nell’avvocato Alessandro Gamberini. Legale dei familiari delle vittime nel processo per la strage di Ustica, Gamberini ha anche seguito, sempre come legale di parte civile, molte delle pagine più oscure della storia italiana: dall’Italicus, alla strage di Bologna, al processo della Uno bianca.

Avvocato, cosa c’è che non va nel testo dell’articolo 375 del codice penale riscritto inserendo il nuovo reato?

Premesso che questo crimine grave contro l’amministrazione della giustizia penso andasse assolutamente introdotto, contemporaneamente bisogna stare attenti al profilo di tassatività della norma. Nel testo – così come lo si legge sul sito della Camera – il reato mi sembra descritto dettagliatamente e in modo accettabile perché indica condotte materialmente molto specifiche. L’unico punto in cui rilevo qualche interrogativo è quando si passa dall’indicazione specifica del reato all’uso della locuzione verbale «comunque utili», che sembra allargare in modo indefinito gli elementi di prova. Scrivere che è punito chiunque muta, sopprime, forma, altera, eccetera, «elementi di prova o elementi

comunque utili alla scoperta di un reato o al suo accertamento» significa creare un delitto a forma libera, dove è più labile il confine tra lecito e illecito.

Un ampliamento della fattispecie che potrebbe servire anche per perseguire l’inquinamento delle prove documentali contenute nei fascicoli da parte – caso non rarissimo – degli avvocati?

E infatti la pena è fino a 4 anni se la commette un privato, come è un avvocato, e più pesante se la commette un pubblico ufficiale. Che sull’amministrazione della giustizia ci siano state pratiche disinvolte di inquimanento delle prove anche utilizzando gli operatori di giustizia è talmente vero che in alcuni tribunali il fascicolo processuale non lo si può più toccare materialmente. Del resto la condanna di Previti si fondava anche su questo, sulla sottrazione di un documento in una causa civile rilevantissima. Qui stiamo parlando del processo penale, perché nel civile il testo prevede che rimanga la fattispecie di frode processuale, aumentando le pene da uno a cinque anni di reclusione.

Con questa legge, i processi per strage che lei ha seguito avrebbero avuto uno strumento in più?

Ovviamente, come avviene per la tortura, si faceva fatica a trovare la fattispecie adatta – non che mancassero – per accusare chi inquina le prove o le sopprime. Ma gli strumenti erano inadeguati soprattutto sul piano sanzionatorio e sui tempi di prescrizione, che ora si raddoppiano. Nel processo per Ustica, il giudice Priore rilevò molte false testimonianze o favoreggiamenti, reati che però sono andati in prescrizione.

Allora secondo lei il Senato dovrebbe approvare il testo come è?

Francamente pur apprezzando sempre lo scrupolo di pensare anche a un uso dissennato, non capisco l’allarme lanciato da Forza Italia. Invece non condivido affatto la causa di non punibilità contemplata. Anche se non sarà certo questa, anzi al contrario, la ragione per cui si agita Brunetta. Non capisco proprio perché si è esteso al depistaggio l’articolo 384 del codice penale che considera non punibile chi non collabora con la giustizia o testimonia il falso per salvare un familiare o un congiunto dal carcere o tutelarne l’onore. Ma un conto è porre un limite alla collaborazione, coprire condotte non collaborative, altro è includere il depistaggio e la frode processuale, cioè l’attivazione a scopo delinquenziale. Questa norma sì che va cambiata al Senato. Mi sembra che qualcuno abbia voluto limitare i “danni” del depistaggio. Ma è un’idea che può essere venuta in mente solo a qualcuno che considera la tutela della famiglia al di sopra di quella dello Stato.