Il muro è crollato, indipendentemente da come la vicenda andrà a finire sul versante giudiziario. Il ministero della Difesa di Elisabetta Trenta, l’Arma dei carabinieri del generale Nistri e il ministero dell’Interno di Matteo Salvini hanno presentato ieri, nel corso dell’udienza preliminare, istanza per costituirsi parte civile al fianco della famiglia di Stefano Cucchi nell’eventuale processo agli altri 8 carabinieri indagati dalla procura di Roma per il depistaggio e l’insabbiamento delle violenze subite dal giovane geometra romano durante l’arresto, nella notte tra il 15 e il 16 ottobre 2000.

Nell’istanza presentata dall’avvocatura dello Stato per conto della presidenza del consiglio dei ministri, della Difesa e dell’Interno, c’è un duro attacco «agli imputati che hanno cagionato un grave danno alle Amministrazioni » e si chiede perciò una pena provvisionale immediatamente esecutiva di 120mila euro.

SEGNO CHE NESSUNO ormai mette in discussione che le violenze ci siano state e che siano state nascoste per dieci anni. Violenze, o meglio torture assodate, in quanto confermate dallo stesso Francesco Tedesco, uno dei militari della casema Appia che arrestarono Stefano per spaccio e che ora è tra i cinque carabinieri alla sbarra nel processo che si sta svolgendo davanti alla prima Corte d’Assise. Tedesco ha puntato il dito contro i suoi commilitoni e coimputati per omicidio preterintenzionale, Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro. Violenze confermate anche da una coppia di carabinieri, Riccardo Casamassima e Maria Rosati, che per primi ruppero il muro di omertà da caserma denunciando di aver sentito parlare del pestaggio del giovane morto poi, successivamente, il 22 ottobre nel reparto protetto dell’ospedale Pertini, e dei tentativi di insabbiamento da parte di alcuni esponenti dell’Arma.

A partire da queste testimonianze, il pm Giovanni Musarò ha condotto nell’ultimo anno un’inchiesta integrativa al processo bis che si è conclusa il 19 marzo scorso con la richiesta di rinvio a giudizio per altri 8 carabinieri (oltre a Vincenzo Nicolardi e al maresciallo Roberto Mandolini, già imputati) accusati di aver giocato «una partita truccata sulle spalle di una famiglia» e di aver messo «in gioco la credibilità di un sistema».

IL GUP DECIDERÀ, nelle udienze fissate per il 17 e 18 giugno e il 16 luglio prossimi, se rinviare a giudizio la catena di comando che secondo la procura di Roma ha coperto il pestaggio con documenti falsi, omesse denunce, favoreggiamento e calunnia.

Si tratta del generale Alessandro Casarsa, al momento dei fatti comandante del Gruppo Roma e fino al 10 gennaio scorso a capo dei Corazzieri del Quirinale, del suo diretto sottoposto, il colonnello Francesco Cavallo, del colonnello Lorenzo Sabatino, ex capo del nucleo operativo romano, del maggiore Luciano Soligo, al tempo comandante della Compagnia Montesacro, del luogotenente Massimiliano Colombo Labriola, ex comandante della stazione di Tor Sapienza, del capitano Tiziano Testarmata, ex comandante della IV sezione del Nucleo investigativo, e i carabinieri Luca De Cianni e Francesco Di Sano.

«Dopo 10 anni, è un giorno importante. Sono davvero emozionata per la decisione dell’Arma dei Carabinieri di volersi costituire parte civile, è una cosa senza precedenti», ha commentato Ilaria Cucchi che oggi pomeriggio sarà presente nella sede del Partito Radicale alla conferenza stampa indetta dal Sindacato nazionale dei militari, altra organizzazione che ha chiesto di costituirsi parte civile nell’eventuale processo, come pure hanno fatto i poliziotti penitenziari ingiustamente accusati durante il primo procedimento e il carabiniere Riccardo Casamassima che parla di intimidazioni e persecuzioni dopo la sua denuncia e che è oggi indagato per spaccio di stupefacenti.

Deciderà il Gup se accettare o meno tutte le richieste.

«IN VICENDE COME la nostra troppe volte ho visto i sindacati di polizia intromettersi contro le nostre famiglie. Oggi – continua Ilaria Cucchi – per la prima volta un sindacato si è schierato al nostro fianco e non contro di noi. Questo lo dedico al signor Gianni Tonelli (ex segretario del Sap e parlamentare della Lega, che denunciò Ilaria Cucchi per diffamazione, ndr) e a chi sostiene che Tedesco era dalla parte sbagliata». Con quest’ultima affermazione la sorella di Stefano si riferisce ad una frase che sarebbe stata pronunciata dalla conduttrice di Un giorno in pretura, Roberta Petrelluzzi, in una pausa del processo bis. La giornalista si è intrattenuta con tanto di selfie con gli avvocati della difesa (era in aula forse non a caso proprio durante un’udienza dedicata ai testimoni degli imputati) e, secondo Ilaria, avrebbe apostrofato così – «Stai dalla parte sbagliata» – l’avvocato Eugenio Pini, difensore del superteste Tedesco. Ieri la conduttrice del programma Rai ha spiegato in una nota che la sua era una battuta innocua anche se «col senno del poi, inadeguata», ma di aver già chiesto «ripetutamente scusa a Ilaria e al suo avvocato».

Sicuramente era una battuta anche quella dell’avvocata Lampitella, difensore del maresciallo Mandolini, quando, con piglio polemico nei confronti del pm Musarò, disse in udienza: «Non vedo l’ora di vedere questo processo trasmesso da Un giorno in pretura». Ma questa è un’altra storia.