Depenalizzare la coltivazione per uso personale di marijuana e la cessione di piccoli quantità di cannabis finalizzata al consumo personale; ripristinare la distinzione tra droghe leggere e pesanti con una riduzione delle pene per le prime (da 1 a 3 anni di carcere anziché da 8 a 20), ridimensionare drasticamente le sanzioni per la detenzione e lo spaccio di «lieve entità». E’ quanto prevede un disegno di legge presentato ieri dal senatore del Pd Luigi Manconi che modifica soprattutto l’articolo 73 del testo unico sulle droghe, il cuore repressivo della legge voluta nel 2006 da Gianfranco Fini e Carlo Giovanardi e inserita in un decreto legge per le Olimpiadi invernali di Torino.

«Dopo trent’anni di fallimenti della politica proibizionista in tutto il mondo che ha portato solo ampliamento del mercato e del numero di consumatori, carcerizzazione di massa e sofferenze sociali – afferma Manconi – si è avviata finalmente una riflessione da parte di molti enti pubblici e di alcuni stati nazionali». Una presa di posizione che probabilmente si porterà dietro una parte dei democratici (ma Renzi cosa ne pensa?) e che è stata ben accolta invece dal leader di Sel, Nichi Vendola, e dal segretario del Prc, Paolo Ferrero. D’altra parte, come fa notare Luca Gibillini, consigliere comunale Sel di Milano, «se anche il partito più reazionario, forcaiolo e meno attento alle libertà individuali del panorama politico nazionale inizia ad interrogarsi sull’utilità del proibizionismo, significa che il Paese è pronto ad una nuova legislazione». In realtà nella Lega la timida apertura antiproibizionista dell’assessore lombardo Gianni Fava è stata subito soffocata dal «no pasarà» secco dei vari Matteo Salvini e Roberto Maroni. Per il resto, è tutto un coro di «no» proveniente dalla destra e dai vertici proibizionisti del Dipartimento delle politiche antidroga.

A fronte di un aumento delle operazioni antidroga di polizia, più evidenti dal 2005 in poi, scrive Manconi nella presentazione del ddl, si è notato un decremento progressivo dei denunciati per reati connessi a tutte gli stupefacenti tranne che per la marijuana: «In particolare, dal 2005 in poi, sono diminuite le denunce relative all’hashish, a fronte di un incremento di quelle rivolte alle piante di cannabis e alla marijuana». Inoltre «diminuiscono in modo rilevante gli accessi ai programmi terapeutici e socio-riabilitativi». Dai dati del Dipartimento di Giovanni Serpelloni, poi, si evince che «i costi imputabili alle attività di contrasto sono ammontati, nel solo 2011, a circa 2 miliardi di euro, di cui il 48,2% per la detenzione, il 18,7% per le attività delle forze dell’ordine e il 32,6% per i tribunali e le prefetture». Questa mastodontica attività di contrasto, spiega Manconi, «non ha portato significativi risultati nella riduzione dei consumi di stupefacenti. Né sono percepibili variazioni significative nel flusso di denaro di cui si appropriano annualmente diversi sodalizi criminali». Di qui la necessità di un radicale cambio di strategia per «ristabilire – conclude Manconi – un solco chiaro tra comportamenti inoffensivi legati al consumo personale di sostanze che non nuocciono gravemente alla salute, non più di quanto faccia l’abuso di tabacco e di alcool, e il traffico di stupefacenti».