Quando aveva denunciato di essere stata vittima di violenza sessuale da parte del suo manager, il Ceo di Alibaba, Daniel Zhang, aveva promesso di apportare cambiamenti radicali interni per creare un ambiente sicuro per le dipendenti. Solo quattro mesi dopo, il gigante cinese dell’e-commerce ha licenziato la giovane lavoratrice che aveva messo a nudo il malcostume dei rapporti lavorativi nelle aziende cinesi.

È LA STESSA DIPENDENTE, identificata con il cognome Zhou, a raccontare al quotidiano cinese Dahe Daily gli ultimi sviluppi di una vicenda accaduta la scorsa estate. Brevemente la notizia. Una impiegata nella sede di Hangzhou pubblica lo scorso agosto un lungo racconto di 11 pagine sul social network Weibo in cui ripercorre la violenza e l’aggressione sessuale subita da parte del suo datore di lavoro e un altro collega durante un viaggio d’affari di qualche settimana prima a Jinan. Zhou, nel suo racconto, sottolinea di essere stata indotta a bere alcolici durante la cena di lavoro, tanto da perdere completamente i sensi. Con la notizia ormai resa pubblica, Alibaba licenzia il manager della sede di Hangzhou, anche se quest’ultimo non è stato perseguito dalla magistratura di Jinan, che ha archiviato il caso.

MA IL CASO COINVOLGE anche altri due senior manager della società che si dimettono dopo l’ondata di critiche sulla loro inerzia e indifferenza di fronte alle denunce. Uno dei due manager, Li Yonghe, poi cita in giudizio Zhou per aver leso la sua reputazione, chiedendo le scuse della donna da pubblicare sul sito dell’azienda e un risarcimento simbolico di uno yuan, circa 20 centesimi. Zhou ha così mostrato al quotidiano cinese una lettera di licenziamento riportante la data del 25 novembre, in cui la società comunica la risoluzione del contratto di lavoro per aver diffuso «false informazioni sull’aggressione e sulla mancata gestione del caso da parte della società».

PER IL GIGANTE DELL’E-COMMERCE Zhou ha violato il codice di condotta interno di Alibaba, secondo cui i dipendenti non possono divulgare «osservazioni inappropriate» o «fabbricare e diffondere deliberatamente fatti inventati o informazioni non confermate» che ledono la reputazione dell’azienda. La tesi del gigante commerciale trova conferma anche nel licenziamento di dieci tra colleghi e colleghe di Zhou per averla aiutata a diffondere la notizia.

Nonostante le difficoltà e gli ostacoli che incontra lungo il suo percorso verso la giustizia, Zhou è pronta a usare tutti i mezzi legali per proteggere i suoi interessi e quelli delle donne che, come lei, subiscono molestie sessuali negli ambienti di lavoro. La giovane donna, che ha confessato di soffrire di depressione dal drammatico episodio, ha raccontato a Dahe Daily di ricevere ogni giorno messaggi minatori, in particolare dagli esponenti dell’«anti-femminismo» cinese.

Questi ultimi, infatti, dopo la diffusione della notizia del licenziamento hanno applaudito l’azienda per il provvedimento, descrivendo Zhou come l’artefice di una menzogna ideata per ottenere un risarcimento. E, nel farlo, avrebbe trovato sostegno nelle femministe che esaltano l’«opposizione di genere».

IL LICENZIAMENTO DI ZHOU rappresenta adesso un ulteriore ostacolo per le donne vittime di molestie sessuali sul luogo di lavoro. E a reprimere il movimento #Metoo ci pensano anche i media nazionali. Il Global Times ha ospitato il commento di Li Haidong, professore della China Foreign Affairs University, secondo cui la copertura dei media occidentali sul caso di Zhou presenta una società cinese malsana con lo scopo di creare antagonismo tra i sessi e minare la stabilità interna. Cruccio del Partito Comunista.