Arrestati per aver denunciato pubblicamente la violenza sessuale subita da un loro familiare, prigioniero politico egiziano. È successo alla famiglia al-Shweikh, al padre, la madre e la sorella di 18 anni di Abdelrahman lo scorso lunedì.

SONO STATI PORTATI via dalla polizia egiziana e condotti nella sede dei servizi di sicurezza della città di Minya. A denunciarlo è stato Omar al-Shweikh, fratello del detenuto, su Faceook. La vicenda è iniziata il 6 aprile scorso: la madre di Abdelrahman riceve una lettera dal figlio, fatta uscire clandestinamente dal carcere in cui è detenuto per aver preso parte a delle manifestazioni.

Nelle righe che legge trova torture e abusi: «Madre mia, ho esitato a lungo prima di scriverti queste parole perché la cosa peggiore che poteva accadermi in carcere è successa il 6 aprile. Non è stata semplicemente tortura, è stata una violenza sessuale che mi ha distrutto mentalmente e mi ha fatto odiare me stesso».

Nella lettera il giovane racconta di aver litigato con un altro detenuto, di essere stato preso dalle guardie carcerarie, bendato, spogliato e stuprato «in ogni modo possibile»: «Non mangerà né berrò fino a morire», conclude il giovane.

La donna ha subito denunciato l’accaduto: prima alla prigione, poi alla procura di Stato di Minya, infine in un video pubblicato sui social. La risposta delle autorità è arrivata a stretto giro ed è stata la repressione: il padre, la madre e la sorella di Abdelrahman sono stati arrestati tre giorni fa, a ulteriore prova del meccanismo di omertà e mancata punizione dei responsabili istituzionali di violenze e abusi, sistema piramidale di protezione di ogni singolo ingranaggio del regime. Gli arresti hanno provocato la reazione degli utenti dei social network che hanno lanciato appelli per il loro rilascio.

LA DINAMICA RICORDA da vicino quella di tante famiglie punite per aver chiesto giustizia. Il caso più celebre, per i suoi stessi protagonisti, noti attivisti egiziani, è quello della famiglia del blogger Alaa Abdelfattah: a marzo dello scorso anno la madre e matematica Laila Soueif, la sorella biologa e attivista Mona Seif e la zia e scrittrice Ahdaf Soueif furono arrestate per aver manifestato di fronte al carcere dove è detenuto Alaa per le precarie e pericolose condizioni in cella a seguito dello scoppio dell’epidemia di Covid-19.

L’Egitto resta il luogo che raccontiamo ormai da anni, una macchina istituzionalizzata di oppressione che travolge un’intera popolazione. Nelle carceri i prigionieri politici non si contano più, per lungo tempo se ne sono stimati 60mila, ma ora c’è chi dà un bilancio quasi doppio.

Tra loro anche lo studente Patrick Zaki. Per lui in questi giorni c’è stata una nuova mobilitazione in Italia, stavolta «locale»: tanti comuni, da Lecce a Udine, da Procida a Pisa, da Cinquefrondi a Gagliano Aterno, gli hanno conferito al cittadinanza onoraria, in attesa che lo Stato gli riconosca quella italiana.