Fermarsi e girovagare per Nizza, in attesa dei fuochi artificiali; oppure tornare in campeggio, distante pochi chilometri dal centro della città costiera addobbata a festa. Nizza è una città stancante per chi non ha voglia, o non può spendere soldi per bere un caffè in attesa che il tempo passi e finalmente si giunga a sera: eppure il mare è bello come non mai; cristallino e freddo come un pezzo di ghiaccio. Ci si avvicina in punta di piedi, danzando goffamente sui sassi taglienti che portano all’acqua, e così, concedendosi ogni tanto il lusso di qualche nocciolina glassata, si decide di restare fino ai fuochi che si annunciano spettacolari. Il momento in cui decidi di non tornare, e non sai che stai decidendo di avvicinarti alla morte.

Eppure è tutto cosi festoso, cosi charmant, cosi poco vicino ai racconti del terrore di cui è oggetto la Francia. Forse perché è il 14 luglio, e si festeggia l’inizio della rivoluzione francese: percezione romantica con scarse aderenze con la realtà, perché i francesi al massimo di quella fatidica data ricordano senza ardore, più coinvolti dall’esibizione muscolare della Repubblica, fatta di forze armate in parata, cavalli al galoppo, pompieri e vigili urbani sovrappeso e implotonati con scarsa precisione militare. È l’antipasto obbligatorio di una nazione che pare stanca e stufa di una guerra che non riesce a vincere, e così la parata del pomeriggio di fronte alle autorità che giocano con gli smartphone assomiglia più a una festa di paese dove a un certo punto, per fare contenti i turisti, spuntano anche tre caccia da guerra in volo radente.
Ci si guarda intorno lungo la Promenade des anglais, per vedere se ci sono dei controlli su di noi che vaghiamo alla ricerca di qualcosa che ci porti senza troppo penare ai fuochi d’artificio, quelli che finalmente mostreranno la grandeur dei francesi.

Ci sono tre soldati che camminano, hanno occhiali da sole, un manganello e e la pistola nella fondina. Poco dietro una pattuglia di soldati scruta un orizzonte fatto di podisti, ciclisti, belle ragazze, francesissime signore con cappello di paglia a tesa larga e con fiocco, e poco più in là il bellissimo mare di Nizza. Altro da guardare non c’è. Così i i poliziotti spesso parlano con i turisti, spiegano il programma della festa, poi controllano per un secondo il telefono, lo controllano compulsivamente come tutti, e tornano con lo sguardo sull’orizzonte.

Lo si pensa anche, nel vagare stanco della mente che non trova appigli per superare la stanchezza di una giornata passata nell’attesa: in Francia ci sono già stati due attentati importanti; oggi è festa nazionale e qui c’è una grande folla a cui la polizia e l’esercito non vuole rovinare la giornata con controlli pesanti. Il pensiero, mentre si pensa tutto ciò, sgorga dal cuore e dalla mente: sono nel posto perfetto per un attacco terroristico. Ma non cambia nulla, perché, scoprirò qualche ora dopo, perfino quando si è ormai dentro l’orrore non se ne percepisce completamente la portata.

Soffia il Mistral teso nella serata della presa della Bastiglia e i pochi drapeau esibiti sventolano nella notte; i francesi non hanno manie di esibizionismo patrio, la maggior parte non ha nulla da festeggiare, semplicemente vuole vedere i fuochi d’artificio in riva al mare.

Il Mistral però è un tuono che soffia da ogni dove e per un attimo corre voce che la grande celebrazione fatta di luci e colori non si farà: troppo pericoloso; pericolo di incendi. Ma deludere la grande folla che assiepa il grande viale dove sbarcarono i liberatori inglesi è impossibile.

Così finalmente iniziano i primi pennacchi colorati; rigorosamente blu; rossi e bianchi. Le coppie si stringono e si prendono per mano, i bambini si quietano e smettono di lanciarsi i sassi, tutto appare perfetto. Eccola la grandeur francese. Vedi che abbiamo fatto bene a rimanere?

Poi, dopo le grand finale, vedi che poco lontano da te che sei sulla spiaggia, lungo il viale dove qualche tempo fa hai corso una maratona e quel ricordo ti viene in mente solo in quel preciso istante, ci sono delle persone che corrono all’impazzata.

Pensi ad una rissa tra ubriachi, perché i francesi bevono troppo e così qualche cazzotto sarà volato anche questa sera. Ma le persone che corrono sono troppe per essere una semplice rissa, e poi ci sono i bambini che corrono da soli e ti domandi dove stanno andando e perché; pensi al terrorismo e per un secondo ti appigli alla certezza che non può essere quello, perché i terroristi mettono le bombe e invece qui, di fronte a questo mare ancora tinto dei colori della Francia, non si è sentito nulla.

Ma poi arriva la firma e cade ogni speranza irrazionale: tac tac tac tac tac, l’inconfondibile suono delle automatiche. La folla sbanda, decine di migliaia di persone iniziano a correre tutte nella stessa direzione, calpestandosi, le mani si sciolgono, salgono le urla, si comincia a percepire il panico: si perde la connessione con la razionalità e subentra un selvaggio spirito di sopravvivenza.

Qualcuno si butta in mare, altri si nascondono tra i massi dei moli: tutti abbiamo uno sguardo sbarrato e perdiamo le cose. Le fughe lasciano sul terreno una quantità di oggetti inimmaginabile: scarpe, borse, occhiali, orologi, vestiti, telefoni, tutto.

Giunti in una via stretta del centro storico, senza la minima idea di quanto avvenuto, si sbircia dentro i negozi che hanno il maxi schermo e non si sono ancora barricati dietro una serranda. Nella concitazione si parla di cento morti e di un camion bomba che gira per la città: nel cuore dell’inferno tutto appare vero, perfetto, logico. Le voci si accavallano, il francese diventa incomprensibile perché sbracato e urlato, così il camion bomba si trasforma in un camion da cui sono usciti dei kamikaze che si sono messi a sparare sulla folla.

Tutti urlano e piangono e imprecano; chi è rimasto bloccato sull’auto abbandona tutto e cerca scampo nei negozi e nei portoni.