I decenni del cinema non corrispondono mai interamente a quelli del calendario. Nella prima puntata, abbiamo evocato un periodo che va dal 1895 al 1905, dalla prima proiezione parigina ai « Nickelodeons » americani. Nella seconda, ci siamo occupati dei celebri « anni venti », un decennio « lungo» che parte dalla fine del primo conflitto mondiale e si chiude all’inizio degli anni trenta, quando la transizione verso il cinema sonoro è completata. Abbiamo visto il cinematografo salire su dei treni colorati per portare come una fiera le immagini della rivoluzione e la nuova politica del partito bolscevico nelle più lontane provincie dell’impero.
Ma è solo una parentesi in un decennio che va in tutt’altra direzione. Negli anni venti, il cinema si è definitivamente affrancato dai carrozzoni e dalle giostre. È attraversato da diverse tendenze che lo accomunano alle altri arti, delle quali costituisce l’avanguardia : il cubismo, il futurismo, il Bauhaus, l’espressionismo per citarne alcune. Dal punto di vista della sala, si passa dalle prime proiezioni ricavate nei teatri popolari, in cui la programmazione dei film coabita con il palinsesto ordinario, alle sale concepite esclusivamente per il cinematografo e che sono sempre più frequentate. L’americano medio va al cinema almeno una volta a settimana. Verso il 1925 nascono i primi « Cinema palace», sale gigantesche e lussuose che si rivolgono ad un pubblico cittadino e sofisticato, medio o alto borghese, fino a quel momento poco attratto dalla nuova invenzione. È un periodo d’oro. Tra il 1930 e il 1945 Hollywood produce qualcosa come 7500 pellicole.

NON SI PROIETTA più da dietro lo schermo. C’è ormai una cabina di proiezione isolata dal resto della sala, in modo da attutire il rumore del proiettore in azione. Nonostante le sue dimensioni siano aumentate, lo schermo è rimasto invece più o meno lo stesso. Il formato dell’immagine è di circa 4/3, lo standard di quasi tutti i film fino al dopoguerra. È anche il formato che più naturalmente si adatta alla struttura dei palcoscenici dei teatri.
Lo schermo non è altro che un grande telo tirato appena dietro la linea della ribalta e che può essere tolto in qualsiasi momento per essere sostituito con i fondali dipinti. Il formato più classico del cinema – quello che per mezzo secolo è stato l’unico formato di quasi tutti i film, è in ultima analisi l’anello che lo tiene ancora il cinema legato al teatro. Questa situazione cambia solo negli anni cinquanta con l’arrivo della televisione. Il piccolo schermo, con il suo tubo catodico, entra nelle case degli americani e progressivamente anche in quelle degli europei. Sempre più persone vivono in case unifamiliari nelle aree suburbane. Il numero degli spettatori diminuisce allora drasticamente. Gli Studios entrano per la prima volta in una crisi che dura una decina d’anni, durante la quale il cinema si reinventa, riannodando, ancora una volta, con lo spirito delle origini.
Per resistere alla concorrenza della televisione e convincere gli spettatori ad uscire di casa, si cerca di dotare le sale di nuove attrazioni che la televisione domestica non è in grado di riprodurre. Questo ritorno fiammeggiante del cinema d’attrazione è al tempo stesso la fucina di un’immaginario tutto nuovo sul quale il cinema stesso, anni dopo, ha creato una mitologia delle origini. Il cinema che ha sostituito gli Studios, e che viene chiamato New Hollywood per distinguerlo dall’epoca classica, non ha smesso di tornare su questo periodo che è al tempo stesso di crisi e di rinascita. Se non altro perché i protagonisti degli anni settanta e ottanta – Steven Spielberg, George Lucas, John Milius per citarne alcuni – sono proprio quegli adolescenti delle aree suburbane che gli Studios cercano di riportare al cinema negli anni cinquanta e sessanta.

UN FILM del 1993 restituisce lo spirito di quell’estremo tentativo: Matinee di Joe Dante. Siamo nel 1962. L’apocalisse degli Studios è imminente. Ma l’America è soprattutto terrorizzata dal pericolo della guerra nucleare. Un buffo e intraprendente autore-produttore-distributore di film di serie B, interpretato da John Goodman, cerca di promuovere la sua ultima pellicola, un horror chiamato Mant! (un vero e proprio film nel film); per rendere l’esperienza più emozionante, installa nella sala di un cinema di provincia una serie di dispositivi atti a scuotere lo spettatore: il Rumble-Rama, l’Odorama… Si tratta ovviamente di una finzione, ma nella quale Dante fa rivivere quel momento in cui il cinema fa ancora una volta appello all’attrazione, alla fiera e al circo. Dante lo racconta prendendo come oggetto il lato artigianale e picaresco dell’industria, i B-movies appunto: l’horror e la fantascienza, che in quel periodo sono ancora considerati come generi minori, strutturalmente separati dal circuito di serie A e votati al puro divertimento d’un pubblico adolescenziale (anche se non pochi degli sceneggiatori di B-movies erano in realtà autori di primo piano, costretti a scrivere sotto pseudonimo perché iscritti nelle liste nere, come tra gli altri Donald Trumbo, Ian McLellan Hunter, Alva Bessie, Lester Cole, Albert Maltz).

ANCHE il cinema più «alto», quello che si concepisce come erede dell’arte drammatica e dell’epica ha bisogno di tornare a bagnarsi nel fiume dell’attrazione. Detto dal punto di vista della sala, i grandi Palace devono trasformarsi. La soluzione è lo schermo panoramico. I primi esperimenti datano in realtà da prima della guerra. Si fanno vari tentativi, più o meno riusciti, di proiezione multipla (Cinerama) su un grande schermo curvo. Nel 1953 la Fox rilascia La Tunica, un peplum girato con un dispositivo ottico la cui concezione risale anch’essa agli anni venti e che usa una normale pellicola 35 millimetri. Una lente anamorfica permette di deformare l’immagine in fase di ripresa. La stessa lente, invertita, restituisce l’immagine panoramica in fase di proiezione. L’effetto è riuscito, anche se non esente da piccoli difetti. Il procedimento è ripreso in seguito dalla Disney che ottiene un successo spettacolare con 20000 leghe sotto i mari. Il CinemaScope, o più semplicemente Scope, si diffonde rapidamente e modifica la struttura delle sale, che si allargano prendendo l’aspetto che conosciamo anche oggi. Il successo è tale che scope è diventato sinonimo non solo del formato panoramico – sebbene a partire dalla meta degli anni sessanta venga sostituito da altri dispositivi – ma del cinema stesso.
La crisi è solo ritardata. Il sistema degli Studios e lo Star system, che ha dominato fino allora l’industria muore. La data ufficale è il 1963. Era nato quaranta anni prima intorno ad alcuni attori, così celebri presso il pubblico che i produttori fondatori di Hollywood avevano deciso di prenderli a libro paga. Il pubblico non andava a vedere un film ma il nuovo Charlie Chaplin o il nuovo Mary Pickford.

una scena da «Il disprezzo» di Jean-Luc Godard

LA FINE è ironicamente rimessa in scena proprio nel 1963 da Jean-Luc Godard nel suo Le Mépris, dove in un incidente d’auto muoiono la star del film (Brigitte Bardot) e il personaggio del produttore americano (interpretato da Jack Palance). Il film è a sua volta girato in Scope, con una mastodontica cinepresa Mitchell che nei celebri titoli di testa scende lentamente la scena su un carrello e, con un gesto rapido dell’operatore Raul Coutard si gira verso l’altra Mitchell che riprende la scena per un « regard caméra » (sguardo in macchina). Che cosa vuol dire quel movimento di macchina e che cosa annuncia ? Lo vedremo nella prossima e ultima puntata.

3.continua