Per intraprendere il corpo a corpo con il concetto di modernità, Nick Land decide di sfidare Kant, il cui impianto filosofico legittimerebbe il moto perpetuo, o volente tale, dell’accumulazione capitalistica. Da Kant, attraverso Nietzsche, si arriva al codice binario, l’umano si fa qualcosa di più che post-umano, diventa inumano. Parliamo di Collasso (Luiss University Press, pp. 220, euro 25) volume che raccoglie gli scritti dal 1987 al 1994 di Nick Land, noto per aver fondato nel 1995 (insieme, tra gli altri, a Sadie Plant) la Ccru, Cybernetic culture research unit.

La Ccru era «un’istituzione» all’interno dell’università di Warwick che si pose fin da subito come un corpo esterno/intruso fuori/dentro all’accademia. Come scrive Mark Fisher – il cui testo è inserito all’interno del libro – a Warwick si diceva che «la Ccru non esiste non è mai esistita e mai esisterà». Secondo Fisher «questa non esistenza istituzionale rispecchia la particolare condizione di Land: un filosofo riconosciuto da ben pochi pensatori di professione».

Eppure, come scrivono nell’introduzione Robin Mackay e Ray Brassier, «Land è probabilmente la figura più controversa emersa dalla stagnante filosofia anglofona negli ultimi vent’anni», capace di «connettere la teoria direttamente al maelström della modernità capitalista» e di appropriarsi del materialismo trascendentale di Deleuze e Guattari, per dare vita a una sorta di «ottimizzazione cibernetica», capace di creare qualcosa di nuovo.

PER QUANTO DISCUTIBILE, Land ha inventato metodo e concetti, come richiesto da Bernard Stiegler (morto nell’agosto del 2020) che chiamava neghentropia, «la possibilità che, dopo aver accettato che stabilire la misura di ogni cosa può portare alla catastrofe, si lavori a ripensare radicalmente il sapere, i modelli teorici dominanti, l’interpretazione della realtà».

Per farlo, come scrive Land stesso nel primo degli scritti proposti (Kant, capitale e proibizione dell’incesto: un’introduzione polemica alla configurazione della filosofia e della modernità) è necessario immergersi nella dura realtà: «Una guerra rivoluzionaria contro lo Stato metropolitano moderno non si può combattere se non all’inferno». È «questa dura realtà» che, secondo il filosofo, ha portato le politiche occidentali «a un riformismo via via più servile», trasformando il nazionalismo e le sue battaglie «nell’unica arena di una vigorosa lotta contro alcune specifiche configurazioni del capitale».

L’INFERNO è la modernità. In questo senso per Nick Land – considerato il creatore delle teorie dell’accelerazionismo, prima di ripiegare su posizioni alt-right nelle sue ultime produzioni – nel nostro «inferno» filosofico abbiamo finito per portare altri mondi, come ad esempio l’Oriente, di cui Land è attento osservatore quando non allucinato seguace (oggi vive in Cina, a Shanghai e produce libretti su ordinazione del Partito comunista cinese).

E il tema della modernità proprio in Cina è oggetto di numerosi studi, a partire da Wang Hui, tesi a smentire la considerazione che la Cina sia entrata nella modernità con l’ingresso nel mercato globale.

Eppure lo stesso Land sembra quasi cadere in questa trappola quando annuncia che «il futuro arriva dalla Neo-Cina», imponendo così categorie temporali, «dispositivi», che ancora odorano di illuminismo. Uno dei suoi figli, il filosofo Yuk Hui, su questo tema ha costruito gran parte della sua opera tesa a confermare l’esistenza di una «cosmotecnica» cinese (il suo libro sarà pubblicato in Italia da Nero edizioni), capace di ragionare in termini di fusione tra politica e tecnica, spirito e oggetti e in grado di creare nuove dimensioni temporali, differenti da quelle occidentali.

TORNANDO a Collasso, è importante la progressione dei testi: di interstizione in interstizione (la cifra di Land, ovvero l’invenzione di concetti mischiando elementi narrativi e concettuali, pop e filosofia, horror e metafisica, fino ad arrivare a un pensiero organicamente vivo) Nick Land parte con un’analisi precisa ed efficace di Kant.

Come ha scritto Tommaso Guariento nella rivista filosofica Lo Sguardo («Introduzione al pensiero di Nick Land», 2017), «la critica kantiana istituisce un rapporto di astrazione contemplativa nei confronti di ciò che le è esterno (il noumeno): in luogo di avere un rapporto diretto con questo, essa costituisce una griglia concettuale che predetermina le modalità di accesso. Questa astrazione – che al tempo stesso è una cattura – segue la dinamica dell’emergente capitalismo, che negli stessi anni nei quali vengono pubblicate le tre Critiche di Kant, distrugge il modello feudale dell’agricoltura, per iniziare quel processo di quadrillage e privatizzazione del territorio che si manifesta nella creazione di enclosures».

LAND PROCEDE attribuendo alla prima Critica «l’accumulazione originaria del capitale, alla seconda la legislazione imperialistica e alla terza la guerra coloniale contro quelle geografie marginali che ancora tentavano di resistere alla mercificazione e al controllo centralizzato».
Dopo questa demolizione filosofica si passa alla deterritorializzazione dell’umano, fino alla sua demolizione.

Da Circuiterie a Collasso, gli ultimi capitoli del libro, Land prende le sembianze dello sciamano cibernetico: «Al segnale del virus che ci connette alla matrice, varchiamo la soglia e scivoliamo nella macchina, che attendeva la convergenza con il nostro sistema nervoso». O ancora: «La strada che porta al pensiero non passa più per l’approfondimento della cognizione umana, ma per un divenire-inumano della cognizione, una migrazione della cognizione nella riserva della tecnoscienza planetaria emergente».

Predice futuri, li complica con linguaggi incomprensibili, da cui è impossibile risalire a origini conosciute e più predice il futuro, più sembra cambiare il passato fino all’approdo a un non umano passivo, un cadavere di fronte a un accelerazionismo teleologico che perde di vista l’agire umano, il suo farsi cyborg e oggetto di trasformazione divina-macchina (o numerologica, un altro rizoma della sconfinata curiosità del filosofo). Land cade nel suo stesso «dispositivo».

QUANTO SI EVINCE da questi articoli è il fatto che perfino nel suo momento più anticapitalista, Land porta con sé un alone sinistro: il passaggio appare deterministico, quasi arrendevole (tanto che alcuni cercheranno di smussarlo, ad esempio l’iraniano Reza Negarestani, il cui libro Cyclonopedia, ricade nell’inumano di Land, salvo poi sviluppare una sua teoria in Intelligence e Spirit).

Land – al contrario – finisce per distruggersi, il suo «divenire macchinico» lo cannibalizza fino a devastarlo di fronte al tripudio futurista cinese, culla della sua virata fascista con The Dark Enlightnment. Per di più Land viene meno a Gilbert Simondon, secondo il quale «il software tradisce sempre la sua performatività rispetto alla realtà sociale. Oltre che codice informatico è, quindi, anche un dispositivo ’politico’ teso alla trasformazione dei rapporti sociali mantenendone inalterati i rapporti di potere».

MA ALLORA perché leggere Land? Perché ha seminato quel terreno anti accademico in grado di uscire dalla modernità e che ha avuto numerosi epigoni, continuatori, correttori (una miriade di filosofi a cavallo tra materialismo libidinale e theory fiction), e anche perché apre uno spiraglio fatale nella comprensione del mondo, non più razionale in senso capitalistico, quanto accelerato verso commistioni post-umane e automatiche.

Quel terreno che ha saputo coltivare – ma è solo un esempio tra tanti – Donna Haraway, «amazzone» come direbbe Land, che non si è mai fermata di fronte al peso di una visione teleologica della storia.