«Balenando/ come speranza/ nel cuore ai miseri,/ consumando/ d’angoscia i ricchi,/ le parole/ del socialismo vivente/ per la prima volta/ si accesero sulla terra». Così, nel 1927, Vladimir Majakovskij ricordava la Comune di Parigi del 1871.

L’anno scorso è stato il centocinquantesimo anniversario di questa insurrezione parigina che dal 18 marzo al 21 maggio vide la capitale francese nelle mani degli insorti, fino alla feroce repressione dell’esercito della III Repubblica che con la semaine sanglante riprese il controllo della città massacrando migliaia di comunardi.

FRA LE POCHE pubblicazioni uscite in Italia in occasione di questo anniversario c’è il bel libro, Una e centomila. La Comune di Parigi del 1871, del giovane storico Enrico Zanette, con una breve ma densa introduzione di Maria Grazia Meriggi (manifestolibri, pp. 68, euro 10).

L’agile lavoro di Zanette è diviso in due parti. Nella prima, «Gli eventi», si ripercorrono le vicende che portarono all’insurrezione e la composizione sociale e politica della Parigi comunarda. Nella seconda, «Mito, usi pubblici e questioni», si dà conto delle molteplici interpretazioni della Comune che il grande storico Georges Haupt riassunse, in occasione del centenario, con la distinzione tra «la Comune come simbolo e la Comune come esempio».

Quando all’alba del 18 marzo diecimila soldati dell’esercito della III Repubblica tentano di «disarmare» il popolo parigino che continuava a difendere la città dall’assedio dei prussiani, dopo la sconfitta di Napoleone III e la fine del suo impero, la reazione popolare, favorita da ampi fenomeni di ammutinamento nell’esercito e da episodi di fraternizzazione tra i soldati e gli insorti, fa fallire l’operazione politica e militare. Il capo del governo, Thiers, firma un decreto di evacuazione: esercito e istituzioni riparano a Versailles. Parigi è in mano agli insorti e il Comitato centrale della Guardia nazionale assume la guida del movimento insurrezionale.

ZANETTE spiega il carattere popolare della rivolta descrivendone gli attori: «muratori, operai, meccanici, calzolai, tipografi, piccoli imprenditori, commercianti, osti, impiegati, avvocati, insegnanti, architetti, donne dell’industria tessile e della scuola». Sono il popolo, i «produttori» di una Parigi dove «Il capitale/ era ancora giovane,/ le ciminiere/ erano meno alte», come scriveva il poeta Majakovskij nella poesia già citata.

In questo senso la Comune è l’ultima rivoluzione del XIX secolo, il «tramonto» di un’era nella quale la barricata è una «forma simbolica dell’insurrezione», «una rete che unisce i combattenti e dà la sua unità alla lotta, anche senza capi e progetto complessivo» (Eric Hazan, La barricade). Il controllo delle strade durante la Comune sarà decisivo, dalla vittoriosa resistenza al tentativo di disarmare Parigi, alla disperata difesa degli ultimi quartieri popolari del nord-est dopo l’entrata in città dell’esercito di Versailles passando per i quartieri più ricchi dell’ovest.

La repressione dell’esperienza comunarda fu feroce: un vero e proprio terrore bianco. Alle migliaia di morti durante i combattimenti si aggiunsero le esecuzioni sommarie di massa, come le fucilazioni al muro del cimitero di Père Lachaise, per questo oggi chiamato «Muro dei federati», e gli oltre 40 mila arrestati, un migliaio dei quali moriranno durante la detenzione. Per gli altri giunsero durissime pene, tra le quali la deportazione nella colonia penale della Nuova Caledonia. La memoria di questo enorme sacrifico del popolo di Parigi insieme allo straordinario carattere di «assalto al cielo» dell’esperienza di autogestione della Comune alimentarono fin da subito il mito.

ZANETTE, nella seconda parte del libro, ne ripercorre le tappe dai tentativi di damnatio memoriae che coinvolse anche intellettuali del livello di George Sand ed Emile Zola, alle testimonianze degli esuli, come Lissagaray e Malon e le riflessioni provenienti dall’ambito della I Internazionale, in primis ovviamente quelle di Karl Marx nel suo splendido La guerra civile in Francia con l’esaltazione della grandezza della Comune per «la sua stessa esistenza operante». Un’esperienza sociale che, come ricorda Meriggi nella sua introduzione, merita di essere «seguita giorno per giorno nella sua formazione e nell’ingresso anche solo per pochi mesi di tante e tanti anonime e anonimi partecipanti a un comitato, a una mensa cooperativa, alla difesa di una barricata ma anche solo all’aiuto di un militante in fuga dalla repressione».