Credevo di conoscerlo a fondo Benedetto. Eravamo entrati insieme nella redazione del manifesto, alla fine degli ’80. Sezione Cultura: a raccontare che era la migliore in campo nella stampa dell’epoca si rischia di passare per gradassi ma non è così. Poi l’esperienza breve e felice di Luogo comune, punto di partenza di un percorso di ricerca che pochi hanno poi approfondito scandagliando per decenni come lui, e quella di DeriveApprodi. Decine, macché centinaia, di riunioni, in redazione e fuori. Di assemblee. Di confronti e scontri. Di discussioni, di manifestazioni fianco a fianco.

INVECE BENEDETTO lo ho conosciuto davvero solo dopo quell’estate maledetta di tre anni fa, quando iniziò il suo combattimento contro un corpo che si ribellava, contro malattie che ogni volta parevano sconfitte, almeno domate, e invece si ripresentavano più letali di prima. Benedetto non ha combattuto la malattia con coraggio. Lo ha fatto, senza un briciolo di retorica, con eroismo.

Ha continuato a scrivere, a studiare, a militare, a ridere a cena con gli amici, a darsi da fare per salvare il manifesto. Senza mai smettere di sorridere. Senza mai cedere anche un solo dito di dignità. Senza arretrare di un centimetro fino all’ultimo secondo. Di fronte alla sua forza non si poteva che restare ammirati e stupiti.

MA LO STUPORE per quella prova era sbagliato. Avrei dovuto saperlo, avrei dovuto riconoscere quell’aspetto di Benedetto Vecchi. La testarda determinazione con cui Ben Olds, come si chiamava su Fb, ha fronteggiato questi ultimi anni tremendi era la stessa con cui trent’anni fa, in arrivo dai servizi tecnici, aveva affrontato la sua nuova vita di giornalista ma anche di intellettuale rivoluzionario. Non un accademico, non un innamorato della cultura per la cultura o per il lustro che ne poteva ricavare.

Uno di quelli, e ormai sono in pochi, per cui il sapere e la militanza erano indivisibili: a cosa serve il sapere, se non a cambiare il mondo? Perché studiare, ogni giorno, senza tregua, divorando una quantità incredibile di libri, cimentandosi con testi che mettevano alla prova pazienza e resistenza, se non per avere un’arma a disposizione, esplosivo immateriale da adoperare contro lo stato presente delle cose?

Benedetto è «cresciuto in pubblico». Ha imparato a scrivere, prima bene e poi molto bene, articolo dopo articolo, e i suoi non erano mai pezzi da ombrellone. Non era arrivato in quella sezione cultura in cui cercavamo consapevolmente di affrontare temi diversi da quelli che occupavano la prima pagina, con un sapere già appreso in accademia da elargire al volgo.

Quelle conoscenze se le è costruite nel tempo, con una tenacia senza pari, sino a padroneggiare come pochi la materia che aveva scelto di studiare a fondo: il lavoro e le sue trasformazioni, le dinamiche del capitalismo nell’età della digitalizzazione, il parto lunghissimo e travagliato, ancora in corso, di un nuovo proletariato senza più fabbrica.

PER BEN LA POLITICA era la stella polare: orientava i suoi studi, i suoi articoli, i suoi libri. Però cercare di trascinarlo sul terreno infido della politique politicienne era impresa votata a fallimento. Per le peripezie dei partiti solo in rare occasioni aveva in serbo qualcosa in più di uno sbadiglio.

Era ed è rimasto fino all’ultimo un ragazzo del ’77, convinto che con quella roba, con quei giochi di potere, con quei conflitti mimati più che vissuti, la politica avesse poco a che spartire e che chi voleva sovvertire il mondo dovesse tenersene a distanza di sicurezza. Forse esagerava in rigore. Di certo non aveva tutti i torti.

Benedetto era paziente, ragionevole, mai collerico neppure in una redazione dove il pacato confronto cedeva spesso il passo allo strillo e qualche volta al lancio degli oggetti contundenti. Ma la sua calma traeva in inganno. Era determinato come pochi.

Sapeva chi voleva essere, chi voleva diventare: obiettivo ben più ambizioso del cercare di ottenere o di conquistare qualcosa.

C’è riuscito perfettamente. È stato l’uomo, lo studioso, il giornalista e il militante rivoluzionario che voleva essere e diventare. Ci è mancato troppo presto, ed è un dolore immenso. Ma ha chiuso la sua partita da vincitore assoluto.