Espressione della pura percezione banalizzante delle idee, tipica di molta cultura mediatica americana, è in corso a New York Manus x Machina, l’annuale mostra blockbuster del Metropolitan Costume Institut (al Metropolitan Museum, fino al 14 agosto 2016), curata da Andrew Bolton, sponsorizzata da Apple, fortemente voluta da Anna Wintour, direttrice di Vogue, e dalla machina del marketing della Condé Nast, la casa editrice di cui la Wintour è anche direttore artistico. Il tema dell’esibizione, che espone 170 pezzi, è quello di dimostrare quanto la tecnologia sia indispensabile alla moda. «Ho voluto sfidare la convinzione che la manualità sia superiore alla macchina, e che il lavoro fatto a mano, al contrario di quello fatto a macchina, sia più prezioso e, quindi, rappresenti il lusso», scrive il curatore. Portando a esempio proprio quegli abiti che rappresentano sia il passaggio decisivo dal manuale alla macchina, come l’abito Mondrian di Yves Saint Laurent del 1965 e molti lavori della couture di Karl Lagerfeld per Chanel, fino ad arrivare agli abiti ottenuti con al stampante 3D di Iris Van Herpen e agli abiti meccanici dell’artista turco cipriota Hussein Chalayan.

Aleggia, su tutto, l’evidenza che oggi la tecnologia si confonde con il digitale e la macchina con i dispositivi basati sui software. E infatti, più che sponsor, Apple pubblicizza il suo iWatch, dispositivo ritenuto il massimo della modernità che stenta ad affermarsi sul mercato, però. Come spesso succede con le mostre sulla moda, questa del Metropolitan scopre l’acqua calda e la trasforma in abiti appoggiati sui manichini (qui sono ovviamente eleganti e si chiamano stockman, che sono i busti che si usano in sartoria). Il rapporto tra la moda e la tecnologia rischia di raccontare una tautologia in quanto la moda contiene in sé il significato di innovazione. E non solo per il suo necessario rinnovamento stagionale ed epocale.

Per innovarsi, infatti, l’industria della moda non ha neanche aspettato che la rivoluzione industriale entrasse nella cultura comune. I nuovi macchinari tessili e i nuovi tessuti (DuPont de Nemours ha brevettato la prima calza di nylon nel 1938, ma la fibra veniva già utilizzata in mischia con il cotone agli inizi del Novecento) sono all’ordine del giorno della moda già dalla fine dell’Ottocento. E quando la tecnologia è diventata digitale, l’innovazione della moda si è diretta verso la eco-sostenibilità e la riscoperta di una cultura umanitaria (vedi le Accademie di Prada e di Cucinelli, la scuola di couture di Valentino e il protocollo Zero Impact di Gucci) in grado di regalare contenuti ai mezzi digitali. Anziché mettere in mostra abiti realizzati con le macchine per scrivere le didascalie sulla non visibile differenza con quelli cuciti e ricamati a mano, una istituzione così attenta come il Metropolitan avrebbe dovuto indagare il rapporto moda-tecnologia attraverso il fenomeno della cannibalizzazione.

Cioè, con un’operazione culturale libera dai condizionamenti degli introiti degli sponsor, avrebbe dovuto spiegare quanto oggi sia la tecnologia a fagocitare la moda, inventando devices indossabili che, in un cortocircuito di significati, diventano «alla moda». Come dimostra proprio l’iWatch della Apple che faceva buona mostra di sé al polso degli invitati alla cena di gala per l’inaugurazione della mostra del Met. Accessorio alla moda per abiti che cercavano, senza riuscirci, di raccontare il titolo.

manifashion.ciavarella@gmail.com