Delle mutazioni che cambiano i modi dell’esistenza quotidiana risultano evidenti e si registrano gli aspetti di immediata incidenza: quelli che semplificano e accelerano operazioni e obblighi giornalieri; o che emancipano da incombenze non evitabili e le assolvono con mezzi e strumenti nuovi ed efficienti. Colpiscono le trasformazioni che le innovazioni tecnologiche operano nelle relazioni sociali. E impressionano le variazioni dei comportamenti e le alterazioni dei costumi più evidenti. Si moltiplicano, in proposito, le descrizioni affidate ad un ordine di concetti sociologicied economici. Proliferano le mere constatazioni dei fatti accaduti, povere di scienza e sterili di conoscenza: nel registrarne la ripetizione, li ribadiscono, quei fatti, e li giustificano. Li assumono tal quali fino a presentarli come svolgimenti e accrescimenti ‘naturali’, ovvii.

Molti gli esempi che si possono addurre. L’innovazione è per convenzione giudicata come un acquisto, di consueto presentata come una estensione delle opportunità, un arricchimento. Trasferirsi da un luogo all’altro velocemente; comunicare in ‘tempo reale’ con chiunque e ovunque; essere ‘contattabili’ permanentemente; ad ogni istante ricevere informazioni; poter stabilmente accedere e disporre di una innumerabile quantità di ‘dati’. Tutto questo è esibito come acquisizione di maggior libertà, quando non come libertà tout court. Si dice: ciascuno è posto nella condizione di impiegare gli strumenti che lo rendono padrone di sé. Ma assai poco si considera che si tratta di un processo che si estende senza mediazioni ‘sociali’ o ‘civiche’ o, si dica, assunzioni di pubbliche responsabilità. La libertà di ciascuno esercitata senza vincolo e sempre più, auspicano, intesa come realizzazione immediata di desideri, di pulsioni, di fantasie, di velleità.

Affermazione di una immagine di me che io formulo a me stesso verificandola entro l’universo dei parametri virtuali che ho a disposizione. Parametri e modelli, canoni e stereotipi offerti prêt à porter ai quali posso conformarmi quando mi immetto (e alla fine risiedo) in un potente ordinamento di metamorfosi del sé che i procedimenti ‘virtuali’ non tanto consentono quanto promuovono, sollecitano e, per meglio dire, impongono. Connessa alla mia libertà è la costruzione della mia ‘immagine’. La mia ‘immagine’ è quel mio selfie postato. Lo è per gli altri collegati in rete e lo è per me stesso nella acquisizione che di me, così, ‘virtualmente’ elaboro. Il mio ‘virtuale’ si estende nella mia coscienza fino a sostituirsi alla gran parte delle determinazioni del mio reale.

Sono in piedi in un autobus affollato che attraversa il centro di Milano. Sono collegato in Skipe con un amico a Boston, Massachusetts. Ascolto le sue parole nell’auricolare, gli parlo a mezza voce nel minuscolo microfono dell’I-phone. Il suo viso, nel display, mi è più vicino dei volti dei passeggeri intorno a me, che non guardo. Il contatto fisico, corporale, nella costrizione dello spazio costipato dove mi trovo, quasi non lo percepisco. Tanto lo sento lontano, svanisce e quasi si fa impalpabile ai miei sensi, quanto mi tiene la voce e il sorriso, i modi confidenziali ed affettuosi del mio amico nel Massachusetts. La relazione determinata ed effettuale, il mio ‘esser qui’, la concretezza nella quale mi trovo e l’ora sono sospesi. Agisco e sono agito pressoché integralmente nel tempo e nello spazio del rapporto virtuale. Descrivo una situazione quotidianamente vissuta, che si può senz’altro definire ‘normale’.

Già, ma normale nel rispetto di quali norme? Secondo quali presupposti accettati e condivisi? Pressoché azzerati gli impedimenti fisici o ‘corporali’, le regole che si dicono ‘morali’ o ‘politiche’ sembrerebbero, impostate, filtrate (aggiustate, meglio si direbbe) secondo esigenze strettamente individuali, eminentemente ‘private’. Codici singolari che posso e voglio applicare senza interferenze esterne. Il lecito e l’illecito sono io che li decido e alla legge che mi son data o, volta a volta mi do, mi attengo, se credo. Altrimenti la contravvengo. Non “al di là del bene e del male”, ma dentro il mio bene e il mio male stabilisco io ciò che è crimine e ciò che è legge.