Lungamente considerata, e a ragione, alla stregua di un vero e proprio laboratorio politico e sociale delle sinistre, l’Italia sembra aver assunto negli ultimi decenni un ruolo per certi versi analogo ma, questa volta nel campo di quelle che possono essere definite con una qualche approssimazione come «nuove destre». Prima la lunga stagione del berlusconismo e della «destra plurale», quindi quella dominata dall’attuale alleanza di due «populismi», certo diversi ma per molti versi complementari e, in ogni caso, in grado di costituire insieme un’offerta politica a tutto campo della quale, ben al di là delle sorti dell’odierno esecutivo, è facile immaginare ulteriori e inediti sviluppi.

PROPRIO QUESTA PECULIARITÀ della situazione del nostro paese, più volte anticipatrice però di dinamiche poi affermatesi anche nel resto d’Europa, è al centro delle recenti inchieste di due affermati giornalisti quali l’ex direttore di Repubblica, Ezio Mauro, e Maurizio Molinari, alla guida della Stampa dal 2016, autori, rispettivamente di L’uomo bianco (Feltrinelli, pp. 140, euro 15) e Perché è successo qui (La nave di Teseo, pp. 124, euro 17). Opere che, seppur con accenti tra loro differenti, individuano l’emergenza di lungo corso che caratterizza la realtà nazionale, soffermandosi via via in modo più approfondito sull’ulteriore accelerazione che ha conosciuto di recente, fino a comporre un quadro composito di questa lenta e apparentemente inarrestabile deriva.

Per Molinari si tratta soprattutto di tradurre la crisi attuale in termini di prospettiva politica, individuando in particolare il ruolo che il «laboratorio italiano» potrà giocare in vista delle elezioni europee del prossimo anno, quando l’annunciata crescita dei sovranisti e delle nuove destre potrebbe cambiare, ma in peggio, il volto dell’Europa. «In questo scenario – suggerisce Molinari -, i populisti italiani, grazie al forte sostegno di cui dispongono in patria, potrebbero avere un ruolo strategico nel definire i nuovi assetti ed equilibri dell’Ue».

Sul fondo, a creare le condizioni favorevoli all’affermazione dei gialloverdi, ci sarebbe secondo Molinari «l’impatto che diseguaglianze, migrazioni e corruzione hanno su una moltitudine di cittadini». Questioni di tale portata, da affrontare a suo giudizio con «nuove idee» rispetto alla lezione del Novecento, che fanno ritenere «il populismo italiano» tutt’altro che «un fattore passeggero, una circostanza occasionale», all’interno di quella che si delinea, in questo caso anche a livello internazionale, come «la prima grande sollevazione del ceto medio del XXI secolo».

IN MODO ANCOR PIÙ PUNTUALE, Ezio Mauro legge l’insieme dei processi in corso alla luce della violenta ondata di razzismo che attraversa la società italiana, intrecciando l’analisi più generale delle trasformazioni in atto con la cronaca minuta di una tragica vicenda che ne racchiude alcuni degli aspetti più sinistri: la tentata strage razzista compiuta da Luca Traini per le strade di Macerata il 3 febbraio di quest’anno.
La «caccia al nero» da parte di questo giovane «lupo» di provincia imbevuto di odio razziale e frequentatore di un milieu estremista che va dai neofascisti alla Lega, diventa così il simbolo di un paese dove la spinta delle discriminazioni veicolate in sede istituzionale si coniuga con le peggiori pulsioni violente che crescono nel risentimento sociale diffuso.

LA GUERRA QUOTIDIANA condotta contro i «corpi neri», diventa così la cifra di quella ridefinizione della «normalità italiana» all’insegna del risveglio dei «forgotten man», i tanti piccoli bianchi che dentro la crisi, sociale e di senso di questi anni, hanno maturato la convinzione che qualcuno «dopo avergli conteso il presente, gli ha sottratto il futuro, ed è qualcosa che non possono perdonare».

SALTATO, ALMENO IN LARGA PARTE, il compromesso sociale che è stato fin qui alla base della democrazia stessa, sembra così farsi largo, grazie ad «una condizione comune di spaesamento, di frustrazione, persino di invidia sociale», una sorta di «fascismo disorganico, sciolto, quasi naturale», che si nutre dell’enfasi posta su ogni sorta di paura e di rancore. L’idra a due teste del populismo italiano di governo evoca da un lato «terra, sangue, confini» e dall’altro «un altrove, un habitat incontaminato e chiuso in sé», dove la debolezza della politica è facile preda dei leader carismatici. «I due immaginari separati e distinti compongono (così) un mondo, l’antisistema, dove l’unica moneta è l’antipolitica e dove il nemico comune è il meccanismo democratico europeo».