«Al Bireh – Ramallah, Al Bireh – Ramallah». Urla la sua destinazione ai passanti il giovane l’autista del “service”, il taxi-navetta che collega Kufr Akab a Ramallah. Una signora con un bimbo attaccato alla mano si affretta ad entrare nell’auto facendo il possibile per non calpestare le buste piene di rifiuti ammassate davanti alla fermata. Qualche istante dopo il “service” parte sollevando una nuvola di polvere che avvolge quattro-cinque ragazzine con lo zainetto della scuola sulle spalle in attesa di un altro mezzo di trasporto. Percorriamo strade asfaltate solo in parte e colme di cartacce, lattine schiacciate e buste di plastica sollevate dal vento. Svettano palazzoni nuovi di 10-15 piani. In parte incompleti. «Costruiscono in tanti qui, senza permesso, case su case. C’è tanta richiesta di alloggi. E nessuno verrà a controllare se sono agibili. Da quando hanno costruito il Muro gli israeliani a Kufr Akab non ci vengono più», ci dice Jaber Salfiti, che vive alla periferia di questo sobborgo che ufficialmente è parte di Gerusalemme Est e che fu annesso alla città nel 1967, dopo l’occupazione israeliana, assieme a Dayet el Barid, Ram, Beit Hanina e Shuaffat. L’intento israeliano era di includere l’aeroporto di Kalandiya nella cintura di Gerusalemme. Decenni dopo quei palestinesi con in tasca la residenza a Gerusalemme sono diventati “troppi”. E il percorso del Muro, che Israele afferma di aver costruito per «ragioni di sicurezza», ha segnato il destino di otto sobborghi della Gerusalemme araba occupata. I palestinesi che si trovano sul lato esterno della barriera sono destinati, presto o tardi, a perdere la residenza a Gerusalemme. Non è ufficiale, le autorità israeliane non lo confermano ma i 50mila abitanti di Kufr Akab lo sanno.

«Non abbiamo più servizi comunali, le ambulanze (israeliane) non vengono qui perchè dicono che è pericoloso, l’illuminazione pubblica è quasi inesistente, la raccolta dei rifiuti è ora affidata a un privato che fa ben poco. Più di tutto non c’è legge a Kufr Akab, ognuno guida come vuole, non c’è il codice stradale, e se i ladri ti entrano in casa non puoi farci nulla, la polizia israeliana non c’è e quella dell’Autorità nazionale palestinese non ha autorità in quest’area. I criminali lo sanno e si nascondono qui». L’elenco di Jaber Salfiti è lungo. E le stesse cose te le raccontano i palestinesi del campo profughi di Shuaffat, Ras Khamis, Sheikh Saad, al Walaje e altre aree periferiche. Posseggono la carta d’identità blu, israeliana, ma sono abbandonati perché residenti sul “lato arabo” del Muro. E devono percorrere in non pochi casi diversi chilometri per raggiungere i posti di blocco di polizia ed esercito che segnano gli accessi dalla Cisgiordania a Gerusalemme. A Kufr Akab si è formato un comitato popolare per risolvere i problemi creati dalla mancanza di servizi. Il suo presidente Munir Zghayer si dice pronto a rivolgersi alla Corte Suprema di Israele ma sa che servirebbe a ben poco.

Nel silenzio della comunità internazionale e la passività dell’Autorità Nazionale di Abu Mazen, non ci vuole molto ad immaginare il futuro di Kufr Abak e degli altri sette sobborghi palestinesi di Gerusalemme Est. Non ci sono le carte ufficiali, almeno non ancora, ma basta seguire i piani di sviluppo delle colonie israeliane – illegali per il diritto internazionale ma che le autorità chiamano “quartieri” – per capire che le aree arabe alla prima opportunità politica favorevole verranno separate con un taglio netto da Gerusalemme. Nel rispetto di una politica che vuole accrescere il più possibile il numero degli israeliani ebrei nella Città Santa e «contenere» quello dei palestinesi. Domani un comitato ministeriale discuterà un disegno di legge per «l’estensione» dell’area municipale di Gerusalemme ad alcuni insediamenti coloniali ebraici – Givat Zeev, Maaleh Adumim, Beitar Illit, Efrat e la regione di Gush Etzion tra Betlemme e Hebron – in un primo passo che dovrà portare al riconoscimento legale da parte della Knesset della costituzione della “Grande Gerusalemme”. Il disegno di legge è di due esponenti del Likud, il ministro dell’intelligence Israel Katz e il deputato Yoav Kish, e vuole creare «una grande area metropolitana con una solida maggioranza ebraica».

Bety Herschman, di Ir Amin, una ong che si batte per Gerusalemme capitale aperta per palestinesi ed ebrei, sottolinea la «pericolosità» del progetto di Katz e Kish. «Nel silenzio generale il governo Netanyahu potrebbe approvare un piano che cambierà la faccia di Gerusalemme, facendone una città non più per due popoli ma per uno soltanto. Questo progetto è volto ad assorbire tre blocchi (di colonie israeliane) e a sradicare i residenti palestinesi che vivono in sobborghi situati all’interno dei confini municipali di Gerusalemme ma al di fuori della barriera di separazione», spiega Herschman al manifesto.

Nei mesi scorsi una deputata del Likud, Anat Berko, ha «suggerito» al premier Netanyahu di modificare il percorso del Muro in modo da creare sul terreno le condizioni per «trasferire» all’Autorità Nazionale di Abu Mazen i sobborghi palestinesi di Gerusalemme nel quadro di una soluzione in due fasi: la loro trasformazione in “Area B” (amministrazione civile ai palestinesi e sicurezza a Israele) in un primo momento e, tra qualche anno, in “Area A” (controllo pieno palestinese). In tal modo 200mila palestinesi (forse 300mila) saranno espulsi da Gerusalemme. Ne ricaverebbero un vantaggio, ha spiegato Berko, anche lo Stato e il Comune di Gerusalemme non più chiamati a garantire assistenza sanitaria, sociale e ambientale a un numero così alto di «arabi». Ma la “riduzione” del numero dei palestinesi residenti a Gerusalemme non è solo un progetto della destra. Qualche mese fa il Partito laburista aveva proposto un piano simile per Gerusalemme Est, anche se meno brutale. Di recente il leader del partito, Avi Gabbai, si è dichiarato contro qualsiasi ipotesi di sgombero delle colonie israeliane nel quadro di un accordo di pace. Neanche una ha detto.