In sciopero della fame, davanti alla sede delle Nazioni unite a Ginevra, per accendere i riflettori sull’intervento militare della Turchia nel cantone curdo di Afrin, nel nord della Siria. Deniz Naki, ex calciatore del St. Pauli, è una vecchia conoscenza di Erdogan.

Contro il presidente turco Naki si è schierato da tempo, da stella dell’Admed SK club del Kurdistan turco divenuto nei mesi il bersaglio governativo, tra sanzioni, squalifiche, perquisizioni di autorità e Federcalcio turca e pure irriso dagli avversari che vogliono compiacere il potere con il saluto militare dopo un gol, in disprezzo verso i curdi. Lo stesso saluto che il talentino della Roma Cengiz Under ha messo in onda più di una volta dopo un gol all’Olimpico e in trasferta. Gesto subito notato e apprezzato da Erdogan durante la sua recente visita italiana.

 

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Per Naki invece, tra gli effetti collaterali della sua scelta di campo, l’anno scorso è arrivata la condanna di un tribunale turco, 18 mesi di carcere – pena poi sospesa – per propaganda terroristica dopo avere pubblicato sui social materiale relativo al Pkk. E in Germania lo scorso gennaio era riuscito a scampare a un attentato in autostrada – al confine con il Belgio -, mentre la federcalcio turca lo squalificava per tre anni e mezzo dopo aver condiviso sui social un video in cui si faceva appello a partecipare a una manifestazione contro l’offensiva militare lanciata dalla Turchia lo scorso 20 gennaio ad Afrin.

È il destino degli sportivi turchi che hanno qualcosa da dire contro il potere assoluto del Sultano. Che non perdona, perché anche lo sport, inteso come strumento di costruzione del consenso, è di proprietà dell’Akp, che ha intuito quanto la presa di posizione di un campione possa pesare sull’opinione pubblica del Paese. Quindi chi è contro viene colpito, in alcuni casi costretto all’esilio. Come Enes Kanter, gigante che gioca da qualche mese nei New York Knicks, la franchigia più ricca e glamour della Nba. «Sono a New York, posso raggiungere centinaia di milioni di persone, devo far sentire la mia voce», spiegava Kanter al New Yorker. E l’ha fatto con una lunga serie di tweet anti Erdogan, definito «l’Hitler del nostro secolo», prima della condanna di quattro anni a suo carico richiesta da un pubblico ministero.

 

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Poi c’è il caso forse più rumoroso, l’ex attaccante dell’Inter e del Galatasaray, Hakan Sukur, al momento segnalato in esilio negli Usa, che deve rispondere di un’incriminazione per terrorismo: entrato addirittura in parlamento con l’Akp di Erdogan, dopo la rottura tra questi e Gulen l’ex calciatore si è schierato con il secondo, che in quel momento rappresentava l’ala più religiosa e radicale del partito. Costretto a dimettersi da parlamentare, è stato subito cancellato dai documenti ufficiali del Galatasaray. Ha poi rischiato grosso per aver detto via social di essere «albanese, non turco». Dopo il fallito golpe dello scorso luglio è fuggito a San Francisco.