Sui palcoscenici italiani il regista Denis Krief ha firmato regie d’opera dei più diversi compositori. Ora si cimenta con Rusalka di Dvorak (repliche fino al 14 dicembre) che ha inaugurato giovedì la stagione dell’Opera, in sostituzione dell’ Aida cancellata dopo l’abbandono di Riccardo Muti. Spettacolo sobrio e inventivo, che incrocia dramma psicologico, elementi simbolici e naturalistici, riuscito nonostante sia nato in un momento drammatico della vita della fondazione teatrale romana, con i licenziamenti di coro e orchestra appena ritirati dopo l’accordo fra sovrintendente e lavoratori.

Che clima ha trovato in teatro in queste settimane?

I lavoratori dell’Opera in nessun momento mi hanno fatto pesare le loro angosce, tutte le maestranze hanno prestato la loro opera con la qualità consueta di un buon teatro d’opera italiano.

Lei ha un repertorio molto ricco, eppure questa è la sua prima opera slava. Come mai?

Non proprio, avevo affrontato il Diario di uno scomparso di Janacek alla Sagra Malatestiana di Rimini. La vera difficoltà per me è costituita dalla lingua, ne parlo alcune ma non il ceco; il mio è essenzialmente un teatro di parola, che muove dal libretto, dalla recitazione, per costruire una drammaturgia.

Dov’è l’elemento fiabesco in questo spettacolo?

In una concezione di teatro ancorata alla recitazione, è quest’ultima con le sue ragioni a investire il palcoscenico, a farsi gesto e corpo, quindi le scene, i costumi, l’allestimento intero non sono che una conseguenza della drammaturgia costruita sulla parola; all’opposto del «concerto in costume» , che purtroppo ha imperato a lungo sui palcoscenici italiani. Rusalka nasce in un contesto stimolante: un opera «austro-ungarica», nata negli anni di Freud, della Secessione, di Klimt, dati che non si possono eludere. La vicenda infatti ha un forte carattere psicologico: un tradimento crudele, il desiderio sessuale, un suicidio per amore, direi che di fiabesco alla fine c’è davvero poco. Naturalmente il fantastico emerge perché l’estetica simbolista si impadronisce del soggetto, con il suo immaginario.

Cosa vorrebbe che il pubblico scoprisse in questa Rusalka?

Al fondo di tutto c’è l’amore per il teatro, per ciò che significa fare teatro musicale oggi. Mi sono impegnato al massimo con i tempi di prova che avevo a disposizione, anche perchè va detto, senza polemiche, che ormai è difficile avere un cast in teatro per l’intero periodo delle prove. I cantanti spesso vanno e vengono e questo è un problema per me.

Questo dipende anche dalle difficoltà di lavoro degli artisti e dai problemi che affliggono l’intero comparto lirico in Italia. Quali sono i motivi di fondo per lei?

La situazione è complicata. Bisognerebbe essere rigorosi e intellettualmente più onesti. Invece abbiamo talvolta persone non precisamente competenti in posti chiave, troppa burocrazia assurda che strangola le normali attività, leggi a dir poco bizzare.

Non le sembra uno specchio dell’intera situazione italiana?

Solo che il teatro lirico è un mondo piccolo, e i contrasti deflagrano in maniera più visibile. Però va anche detto che il sistema tiene ancora, a Roma adesso e anche pochi mesi fa a Firenze (per Orfeo e Euridice di Gluck, nda ) ho lavorato molto bene. Naturalmente ci sono i problemi di budget, ma bisogna essere realisti, creare gli allestimenti con le disponibilità che ci sono, evitando condizionamenti esterni.