Dencity (presentato a Milano) è un sistema culturale integrato, della durata di tre anni, per una macro area della periferia sud-ovest della città – i poli urbani e periurbani di Giambellino-Lorenteggio, Solari-Savona-Tortona, Barona-Parco Teramo.

Finanziato da Fondazione Cariplo, l’esperimento, dell’Associazione Dynamoscopio, in rete con attori istituzionali e accademici, chiama alla partecipazione attiva chi abita il territorio o vi è coinvolto a vario titolo. Scommette su interventi che utilizzano la cultura come motore di rigenerazione economica e politica, nel senso letterale di «cosa pubblica», della cittadinanza.

Fra le iniziative, Art&swap District, in Giambellino-Lorenteggio, ci sembra la più promettente. È il disegno di una nuova economia della casa, dove il mercato dell’affitto può diventare occasione di apertura del privato al pubblico. Cambiano la percezione e l’uso dei concetti di «proprietà», «abitare» e «profitto». Ne parliamo con la curatrice, Isabella Bordoni.

Quali sono la strategia e gli obiettivi di Art&Swap?

Definirei Art&swap District un’esperienza di «abitazione creativa in periferia critica». «Swap» vuol dire «baratto». Stiamo tentando di capire se la casa, bene materiale, ma esposta a sfitti, morosità e sgomberi in Giambellino-Lorenteggio, possa essere parzialmente barattata con l’arte, bene immateriale, come metodo di cura del problema e servizio al territorio. Valore-casa e valore-cultura si rafforzerebbero a vicenda, con vantaggio per soggetti individuali e sociali. Art&swap, affiancato dalla Fondazione Dar, prevede che l’arte sia una delle clausole nelle stipule di contratto fra locatori e locatari.

Fa incontrare i proprietari con artisti, designer e studenti, dai 18 ai 35 anni, disposti a spendere sul territorio il proprio tempo e talento. Potenziali inquilini scelti anche con il fine di ridurre i rischi del rapporto locativo. Per chi decide di abitare un anno in Giambellino-Lorenteggio, il canone di affitto scende del 20% rispetto al prezzo di mercato. Un primo passo verso scenari alternativi, che non è cambiare il denaro sonante con la moneta elettronica, ma considerare, ad esempio, di far ripartire l’economia scambiandosi una serie di servizi.

Residenze temporanee per la città, le stesse che spronano gli artisti a un fare non individualistico…

Con Art&swap siamo in un campo che non è quello delle residenze (per artisti o studiosi, ricercatori, teorici), bensì di un territorio che desidera, poi immagina, costruisce e infine espone una strategia amministrativa e una volontà di accoglienza. Il progetto è pionieristico, non ha campioni in Italia o in Europa a cui ispirarsi. Creare aperture dentro le regole economiche vuol dire pensare che «economia» è «oikos» – «casa» – in quanto «ethos» – postura etica di una soglia tra dentro e fuori, privato e pubblico. Abito di un luogo che ha stabilito misure, ordini di grandezza e di corrispondenza, processi inventivi di «traduzione» e «transazione».

Il «reddito culturale» costituisce il motore di questa economia. Il modello è la coesione sociale, l’intercultura come lavoro di conoscenza e pedagogia reciproca, fra i residenti e «l’altro» in ingresso. Non si tratta di andare contro la proprietà privata, ma di ritenere che il capitale privato sia una risorsa per il bene-in-comune. Un ragionamento valido anche per gli appartamenti di edilizia popolare, chiusi perché sotto soglia.

Salta agli occhi la distanza dalla politica di governo, interessata all’immobile solo per le varie Imu, Service Tax, Trise… da applicare o abolire. Voi gettate le basi di un’educazione alla proprietà, mostrando, per contrasto, quanto siamo rappresentati male. Ma Art&swap può far breccia nel pensiero degli amministratori pubblici?

È presto per dirlo. Le istituzioni comunali e regionali, oltre che i privati illuminati, ci danno garanzie e speranze che il governo, al momento, non aiuta ad avere. Secondo l’Osmi, circa il 30% degli studenti vive in abitazioni degradate, pagando affitti superiori alla loro stima. L’inaugurazione di Dencity ha avuto potere simbolico in questo senso. Si è svolta all’interno del Mercato comunale di via Lorenteggio, dove Dencity ha un suo banco, un punto culturale accanto al fornaio, al macellaio, al verduraio… Sul filo della metafora, la cultura alimenta, e nel modo di un commercio che vuole rivelare le catene di produzione e distribuzione.

Il Mercato in questione, prima della giunta Pisapia, doveva essere soppresso. Il consorzio dei commercianti lo ha ristrutturato e salvato, ottenendo dal comune l’abbassamento del canone di affitto dei locali. In maniera analoga, noi contiamo di mettere in moto meccanismi per cui la cultura possa sostenersi da sola. Al banco di Dencity si organizzeranno corsi e laboratori di attività che diventeranno mestieri, introducendo competenze professionali.

Qual è il ruolo delle università?

Si sta definendo un programma formativo per gli artisti di Art&swap District, in parte interno al sistema universitario (Naba, Domus Academy, Iulm), con crediti, stage, Erasmus e possibilità di tesi, e in parte esterno, che permetterebbe ad artisti non inscritti di frequentare corsi singoli e partecipare, come uditori, a seminari e iniziative di università e accademie.

Le professioni della creative-class – moda, design e arte contemporanea – coinvolgono poco le comunità cittadine. Art&swap saprà essere una critica-clinica delle relazioni sociali?

I processi locali sono complessi e contraddittori. Ogni comunità è costituita di tante altre. Gli artisti-studenti devono saper osservare, con sguardo antropologico, ma anche lasciarsi assorbire. Significa superare due tipi di tabù: il «tabù della bellezza», che regna nelle dinamiche professionali, ma è assente nel privato; e il «tabù della povertà». Giambellino-Lorenteggio è un’area di tangibili difficoltà economiche, dove lo studio ha ancora i tratti di un valore, di un sacrificio familiare. Gli artisti interpretano quest’ottica e propongono lo studio come possibilità di emancipazione; gli abitanti ricambiano con i segni di una bellezza da condividere.

Quindi l’idea non è di sensibilizzare le comunità alla «bellezza» – Fiumara d’Arte, la Fondazione di Antonio Presti a Librino, lo fa egregiamente da dieci anni – ma, viceversa, di stanare e tradurre, in fotografia, in musica, con performance o filmati, forme di bellezza spontanea che esistono al loro interno.

Art&swap non mira alla creazione di una comunità omogena, in termini identitari. Cerca invece l’ibridazione in un territorio già ibrido: qui, nel dopoguerra, si è avuta l’immigrazione dal Sud Italia; attualmente è forte la presenza di arabi, soprattutto egiziani. C’è uno scoglio linguistico da superare, e di comunicazione. Perciò vorremmo che committenti di Art&swap fossero i singoli cittadini, nella volontà di raccontarsi e fare richieste, fuori dal proprio recinto culturale. Auspichiamo un «guardarsi reciproco» anche fra i nuovi abitanti e artisti che provengono dalle stesse geografie. Il bando del progetto sarà aperto agli stranieri.