Nella giornata di ieri si sono incrociate, nell’infosfera giapponese, due notizie relative a tematiche apparentemente prive di connessione, ma che in realtà questo 2020 ha finito per legare in maniera inaspettata. Nelle stesse ore in cui veniva ufficializzato ciò che ci si aspettava già da alcune settimane, cioè l’ascesa al trono di Demon Slayer – Kimetsu no Yaiba- The Movie: Mugen Train come il film con gli incassi più alti di sempre in Giappone, il bollettino giornaliero con il numero dei contagi segnava 2390, confermando il preoccupante trend in rialzo delle ultime settimane. L’incasso del film tratto dal manga di Koyoharu Gotoge, 32.47 miliardi di yen in poco più di due mesi, ha superato nel fine settimana appena passato il film che deteneva il record fino a ieri: La città incantata di Hayao Miyazaki (2001).

Per i puristi, il film d’animazione dello studio Ghibli rimane ancora il lavoro che ha venduto più biglietti, 23 milioni e mezzo, davanti al documentario di Kon Ichikawa Le olimpiadi di Tokyo (1965) e appunto a Demon Slayer. Ne avevamo già scritto mesi fa in occasione del suo successo dopo solo 10 giorni di proiezioni nelle sale, ma il film in questione completa l’arco narrativo cominciato dalla serie animata trasmessa in tv lo scorso anno e successivamente su varie piattaforme online durante il 2020.

SUL PERCHÉ del successo di Kimetsu no yaiba in un’ annata tragica caratterizzata dalla pandemia ed in cui il mercato cinematografico mondiale è sprofondato in una crisi epocale e che rischia di ridefinire il concetto stesso di cinema, si è ragionato e scritto parecchio qui in Giappone come nel resto del mondo. Una serie di contingenze hanno giocato a favore del film, su tutte la quasi totale assenza di competizione: i cinema sono rimasti chiusi per un breve periodo in primavera e hanno riaperto all’inizio dell’estate con una capienza limitata, ma nessuna grande casa di produzione/distribuzione ha voluto osare programmando il suo film di punta, E naturalmente neanche lavori hollywoodiani, per il periodo estate-autunno.

Molte sale si sono viste costrette a riproporre film «vecchi», fra cui proprio quelli dello Studio Ghibli, sempre popolari in patria, con La città incantata che ha così curiosamente aumentato i suoi incassi dopo quasi due decenni dalla sua uscita. Questo ha permesso a Kimetsu no yaiba di essere praticamente il solo grosso film in programmazione nelle grandi multisale. In una di queste, nella capitale, il film è stato proiettato in autunno addirittura 40 volte (secondo quanto scrive il «Japan Times») in un solo giorno.

Senza contare poi che il 16 ottobre, data del debutto di Demon Slayer, la capienza delle sale era tornata quella normale, senza spazi vuoti fra uno spettatore e l’altro. Ha inoltre aiutato e di molto la programmazione sulle piattaforme streaming della serie, l’uscita in autunno di un nuovo volume del manga ed un battage pubblicitario e di merchandise a tappeto, ma questa è la normalità per questo tipo di prodotti multimediali e non è certo stato il principale fattore del successo.

LE DIMENSIONI della pandemia, e la sua percezione, sono state un altro fattore determinante: benché la crisi sia stata quanto meno «malgestita» (per usare un eufemismo) da parte del governo – sia da Shinzo Abe che dal suo successore attualmente in carica Yoshihide Suga- e la campagna Go To Travel che ha incoraggiato fino a pochi giorni fa, attraverso sconti su treni ed hotel, i giapponesi a muoversi e a visitare altre prefetture e non a diminuire gli spostamenti, sia stata francamente ridicola, il numero di vittime e di contagiati è stato, finora, minore rispetto ad altri paesi dell’Occidente.

Sulle ragioni di questi numeri stanno ancora indagando esperti e ricercatori, chi scrive non è minimamente in grado di fare supposizioni valide, resta però il fatto che una pandemia con numeri minori – è bene ripetere «fino ad ora» perché le cose stanno rapidamente cambiando, confini chiusi per stranieri da ieri 28 dicembre ad esempio – ha aiutato gli spettatori a decidere di recarsi al cinema, con tutte le restrizioni e regole del caso. Le Olimpiadi di Tokyo hanno poi indubbiamente influenzato e non di poco le politiche governative rispetto alla pandemia: non siamo tanto sicuri che in un Giappone senza gli incombenti giochi nella capitale, le sale cinematografiche ed altri luoghi dedicati alla cultura, all’arte e all’intrattenimento sarebbero rimasti aperti.

Gran parte del parziale successo nel contenere la pandemia si deve anche, se non soprattutto, alle scelte di buon senso della popolazione: distanze, mascherine e abitudine a non parlare nei luoghi pubblici come treni e cinema ad esempio, già ampiamente parte del bagaglio culturale del paese, hanno permesso nei mesi scorsi lo svolgersi di festival del cinema, anche se in versione ridotta, e il funzionamento, più o meno normale, dei luoghi di cultura. I musei sono ad esempio rimasti per lo più aperti, tranne che nel periodo primaverile, anzi è da notare il fatto che ne sono stati inaugurati due assai importanti: uno nell’isola di Hokkaido dedicato alla popolazione indigena Ainu, di cui abbiamo scritto su queste pagine mesi addietro, ed il bel Kadokawa Musashino Museum a Saitama, sorta di biblioteca, museo e galleria d’arte creato dalla casa editrice e di produzione cinematografica Kadokawa.

MA IL SUCCESSO stratosferico di Kimetsu no Yaiba rimane un caso isolato: inevitabilmente le sale indipendenti, i cosiddetti «mini theater», sono quelle che più stanno soffrendo a causa della crisi legata alla pandemia. Se le centinaia che punteggiano il paese e che hanno funzionato da canali di distribuzione per i nomi più importanti della settima arte giapponese negli ultimi 30 anni – da Shin’ya Tsukamoto a Ryusuke Hamaguchi – hanno saputo sopravvivere durante questa annata lo si deve anche al popolo degli appassionati e dei cineasti stessi che hanno organizzato e sovvenzionato varie iniziative di supporto. Una delle più grandi è stata Mini Theater Aid, una raccolta fondi che ha permesso a queste sale indipendenti di superare il momento di difficoltà durante la chiusura primaverile, di creare una sorta di consapevolezza collettiva e di riflettere sul ruolo culturale che questi luoghi rivestono.