La Grecia va verso elezioni anticipate, previste per il 25 gennaio. Saranno le più critiche degli ultimi decenni, in un clima di polarizzazione acuta tra le forze politiche. Il Paese tra un mese dunque, cambierà pagina e – forse – cambieranno anche i rapporti di forza nell’Unione europea, mentre per i mercati torna il rischio di default nel Paese. Il fumo nero nella capitale greca di ieri, dopo la terza votazione al parlamento per l’elezione del capo dello Stato ha provocato sentimenti di soddisfazione, ma anche di allerta in tutta Syriza. In calo vertiginoso la borsa di Atene. 8 per cento prima della votazione, oltre il 10 per cento subito dopo l’ annuncio dei risultati, si è ristabilita più tardi al 5 per cento, salvo chiudere al 3,91. Il candidato presidente della repubblica, Stavros Dimas, appoggiato dalla maggioranza (155 seggi), da alcuni deputati indipendenti e da un paio di altri nazisti già allontanati da Alba Dorata, ha raccolto 168 voti, gli stessi presi nella seconda votazione e comunque lontano dal quorum di 180 su 300 che erano necessari per la sua nomina.

Caute le reazioni a Bruxelles e Berlino, che questa volta non hanno voluto interferire nella vita politica di Atene. Il commissario per gli Affari economici e finanziari dell’Ue, Pierre Moscovici, che poche settimane fa aveva voluto inviare un messaggio a favore dell’elezione di Stavros Dimas, ieri si è limitato a dire che «ora tocca al popolo greco decidere se appoggiare o meno le riforme in corso».

«È un giorno storico per la repubblica ellenica» ha detto Alexis Tsipras, mentre i conservatori della Nea Dimokratia e i socialisti del Pasok, che hanno subito una sconfitta senza precedenti, non perdono occasione per denunciare come «il Paese finirà nel caos se nelle prossime elezioni vincerà la sinistra radicale». Tutti i sondaggi infatti, danno a Syriza un vantaggio da 3 a 6 punti rispetto alla Nea Dimokratia dell’attuale premier greco.

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Per Antonis Samaras «il Paese si trascina alle urne anticipate… la responsabilità è dei parlamentari della minoranza, perciò ora tocca al popolo di fare quanto non è riuscito a fare il parlamento».

I primi mesi del 2015 le politiche di Berlino e dei mercati saranno messe quindi alla prova in Grecia, paese che finora più di ogni altro in Europa ha subito le conseguenze catastrofiche dell’austerità imposta dalla troika (Fmi, Ue, Bce).

Su Syriza sono riposte le speranze di gran parte dei greci, di quelli che negli ultimi anni hanno visto cambiare in peggio la propria vita, e che nel recente passato votavano di solito per i due consueti partiti al potere, i conservatori della Nea Dimokratia e i socialisti del Pasok.

Questi stessi potenziali elettori che oggi vedono in Syriza l’unica «forza alternativa che potrebbe frenare la crisi umanitaria», anche se gli stessi non si autodefiniscono di sinistra. Grazie poi a questi nuovi elettori, nell’ arco di due anni, Syriza ha visto aumentare la sua forza elettorale dal 4% al 28%.

Su Syriza sono puntati gli occhi delle vecchie e nuove generazioni della sinistra greca, e di quella europea, più in generale. Di quella italiana che non si vede rappresentata in parlamento, dei Podemos in Spagna, di Die Linke in Germania, ma anche degli anti-global, dei Verdi e di chi lotta per una società e un’Europa diversa. Anche per loro Syriza rappresenta la speranza, il catalizzatore di un processo di cambiamento politico e sociale nel vecchio continente.

A Syriza guarda con attenzione l’establishment europeo, che nella sinistra radicale greca vede un nemico di classe, una «forza politica estrema e non favorevole all Ue» come ha ribadito Jean-Claude Juncker, un partito avversario che potrebbe danneggiare l’attuale architettura europea, quella della Merkel, che è riuscita a «germanizzare» il vecchio continente.

«Chiunque sarà eletto, dovrà rispettare gli impegni presi dai precedenti governi», ha detto sabato scorso il ministro dell’ economia tedesco, Wolfgang Schauble, per rispondere a chi ad Atene, crede che un governo delle sinistre potrebbe annullare il memorandum in Grecia.

Ieri il premier Samaras ha convocato il consiglio dei ministri e il parlamento, che secondo la costituzione ellenica, sarà sciolto entro dieci giorni. Il tempo stringe non solo per Syriza, ma per tutti. Il clima d’ incertezza politica è tutto sommato fittizio e creato dai mercati, dagli hedge fund, da chi insomma vorrebbe speculare ancora contro i greci.

Loro – come del resto anche i creditori internazionali – si rendono conto che Syriza, avendo ottenuto un consenso sociale abbastanza ampio, non sarà certamente un interlocutore facile.

Dall’altra parte Syriza, presentandosi in questo momento come l’unica forza di potere alternativa in Grecia, abituata per anni ad una politica di denuncia, lontano da una logica di governabilità, sta facendo dei passi veloci, moderando anche i toni, per risolvere due problemi.

Il primo riguarda le alleanze perché difficilmente riuscirà a formare un governo autonomo; il secondo – e forse costituisce il nodo più difficile – tocca quando fa tremare i suoi avversari, vale a dire l’annullamento del memorandum.

Un anno fa Alexis Tsipras aveva promesso la cancellazione di tutti gli accordi con la troika (Fmi, Ue, Bce) nell’ipotesi in cui Syriza fosse arrivata a detenere il centro del potere greco.

Pochi mesi fa, invece, il leader di Syriza, è apparso decisamente più cauto, quando ha sostenuto che «decisioni unilaterali da parte di un nostro governo saranno prese soltanto se saremo obbligati a farlo».