Quando la delegazione parlamentare di Democrazia Proletaria salì per la prima volta al Quirinale era presidente Sandro Pertini che confesserà a Mario Capanna la propria simpatia, «perché, come me, sei un avanzo di galera». E non era il solo, Capanna, ad essere transitato per le patrie galere nella pattuglia di parlamentari che, alle politiche del 1983, tornò a Montecitorio dopo quattro anni di limbo extraparlamentare. Non era mai successo che una formazione di sinistra riuscisse a vincere la maledizione del quorum dopo una débâcle. Anche Edo Ronchi – eletto con Dp poi passato nei Verdi e di lì a qualche anno ministro dell’Ambiente nel primo governo Prodi, si fece 11 mesi di galera preventiva tra l’80 e l’81.

«NÉ CON LO STATO, né con le Br ma contro lo Stato e contro le Br», scandivano gli spezzoni del «movimento», quel che restava del lungo 68 italiano, che Dp provò a coagulare per resistere al riflusso. Le sue radici erano ben salde nel protagonismo diretto dei movimenti e del conflitto sociale. Militanti e dirigenti provenivano dalle lotte di fabbrica, dal movimento studentesco, dall’esperienza dell’entrismo nel Pci e dalla sinistra socialista e cristiana di base che si sottrasse al rientro nei ranghi della sinistra «storica» dopo le esperienze del Psiup, del Movimento politico dei lavoratori, di Avanguardia Operaia, del Pdup e della IV internazionale.

Ora quella storia rivive nel libro di Alfio Nicotra, L’agile mangusta. Democrazia proletaria e gli anni Ottanta (Alegre, pp. 320, euro 16). Per Nicotra, aretino, giornalista e ora presidente di «Un Ponte per» (una Ong creata da Dp proprio la notte del gennaio 1991 in cui venne bombardata Baghdad) quel partito sarà come una seconda pelle, ci entra da liceale e ne diviene il più giovane componente della direzione nazionale. Fino al 9 giugno del ’91 quando l’ultimo congresso, «con malinconico entusiasmo» (cit Giovanni Russo Spena, segretario dopo Mario Capanna), scioglie il partito per confluire nel nascente Prc. L’«agile mangusta», denominazione di sapore maoista, intrecciò la sua vicenda con quella del «grande pachiderma», il Pci. Entrambi arrivarono in fondo al decennio scompaginati da avvenimenti e processi che ancora stanno determinando questo presente italiano.

DP NASCE COME CARTELLO elettorale tra le organizzazioni della nuova sinistra (Ao e Pdup), per le regionali del ’75, poi apre a Lotta continua l’anno successivo per le politiche che videro il balzo in avanti del Pci ma non la vittoria delle sinistre. Mentre Lc si scioglieva nel movimento, la maggioranza di Ao e la minoranza del Pdup iniziarono un processo costituente (mentre la minoranza di Ao confluì nel Pdup) che si concluse in un cinema romano proprio nei giorni in cui le Br rapirono Moro. Poche settimane dopo, il giorno in cui il presidente della Dc venne trovato ucciso, la mafia ammazzava Peppino Impastato, militante di Dp di Cinisi.

Dieci anni dopo Dp arriverà a contare oltre 10mila iscritti (età media 33 anni) e nell’87 avrebbe eletto, grazie al proporzionale, 8 deputati (642mila voti, 1,66%) e un senatore (494mila voti, 1,52%). Ma già si dispiegavano i primi effetti del neoliberismo con l’attacco al Parlamento e al proporzionale e i segnali di quella società del rancore, incubatrice dei sovranismi e populismi attuali. Negli anni ’80, tuttavia, Dp non fu soltanto una casamatta adibita alla resistenza ma un’esperienza originale – si teorizzò un partito transitorio e contenitore – di contaminazione con i movimenti sociali emergenti, la Pantera, il femminismo, le lotte contro il nucleare e i missili Usa, l’ambientalismo – che interagirono con la pattuglia di «avanzi di galera» per portare il conflitto nel Palazzo.

COM’È ANDATA A FINIRE è noto e il bilancio di Nicotra è onesto: fu una scommessa «non vinta». Per questo il libro può servire a sottrarre la memoria a luoghi comuni, nostalgie malriposte e rimozioni.

La presentazione giovedì 2 dicembre al Circolo di San Lorenzo a Roma (Via dei Latini 73) alle 18,30 con l’autore, Raul Mordenti, Eliana Como, Giulio Calella.