Benché tutti parlino di crisi in atto del nostro governo, non c’è, né finora c’è stata, nessuna crisi di governo.

Sulla base della nostra Costituzione un governo entra in crisi, e deve dimettersi, allorquando difetta della fiducia delle Camere. Non basta che non abbia la maggioranza assoluta.

Neppure è sufficiente che su un determinato provvedimento venga messo in minoranza: «Il voto contrario di una o di entrambe le Camere su una proposta del Governo», dice l’articolo 94, comma 4 della Costituzione, «non importa obbligo di dimissioni».

Se quindi sulla relazione dei prossimi giorni del ministro della Giustizia il governo non porrà la fiducia, non ci sarà nessuna crisi di governo, qualunque dovesse essere l’esito del voto.

Senza una maggioranza stabile, o comunque con una maggioranza «raccogliticcia», d’altro canto, reclamano le destre e ripetono i giornali, non restano che le elezioni, e il Presidente della Repubblica ci manderà a votare.

Non è vero.

Una simile decisione presidenziale è impossibile. Il Presidente non può dimissionare un governo non sfiduciato dalle Camere. Del resto lo stesso scioglimento delle Camere non è un atto unicamente del Presidente della Repubblica.

Come tutti gli atti presidenziali, esso deve essere proposto e firmato da un membro del governo. «Nessun atto del Presidente della Repubblica è valido – dice l’articolo 89 – se non è controfirmato dai ministri proponenti, che ne assumono la responsabilità». Per un atto come lo scioglimento delle Camere il ministro proponente, senza la cui controfirma tale atto non è valido, è ovviamente il Presidente del Consiglio, che di esso assume la responsabilità.

Insomma, la nostra è una democrazia parlamentare, nella quale «il Presidente della Repubblica – come dice l’articolo 90 – non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni». Il Governo non deve avere la fiducia del Presidente della Repubblica, come avviene nelle democrazie presidenziali, ma solo quella del Parlamento.

Il fatto che le destre si rivolgano al Presidente della Repubblica perché sciolga le Camere o comunque licenzi il Presidente del Consiglio a causa della debolezza della sua maggioranza, segnala perciò una concezione appunto presidenziale della nostra democrazia.

Non è solo una concezione sbagliata, né tanto meno un’idea ingenuamente errata.

È al contrario una concezione sostenuta strumentalmente proprio in funzione di una prossima campagna per la trasformazione della nostra Repubblica in una Repubblica presidenziale, cioè per un obiettivo da sempre apertamente perseguito dalle destre.

È questa l’insidia che si nasconde dietro l’attuale dibattito sulla cosiddetta crisi di governo.

Se il Presidente della Repubblica ha così rilevanti poteri, come lo scioglimento unilaterale delle Camere e il destino dei Governi – questo l’argomento forte a sostegno del prossimo tentativo di manomissione del nostro assetto costituzionale – allora è giusto che sia eletto direttamente dai cittadini anziché dal Parlamento.

L’aspetto allarmante di tutta questa vicenda è che non solo le destre, ma gran parte del sistema politico e quasi tutta la grande stampa sembrano condividere o quanto meno avallare questa errata interpretazione della figura del Presidente della Repubblica disegnata dalle norme costituzionali e la conseguente, vistosa deformazione del nostro sistema politico.

È invece questa ennesima, insidiosa aggressione alla nostra Costituzione che oggi occorre prevenire e respingere con la massima fermezza.