Oggi il Parlamento in Italia non conta più nulla e non riesce a far nulla, continua a prendere schiaffi senza che nessuno se ne lamenti, neppure i diretti interessati. Schiacciate dal peso del sostegno a un governo privo di un coerente indirizzo politico, tenute in vita artificialmente, in attesa di una presidenza di turno europea, di improbabili riforme istituzionali e dello stabilizzarsi del quadro politico terremotato dopo le ultime elezioni, la perdita di autonomia delle camere è totale. Lo avevamo già segnalato su queste pagine, ma vale la pena ricordarlo: da che è iniziata questa legislatura le camere non sono riuscite a esercitare nessuno dei loro principiali compiti istituzionali.
Quello costituzionalmente più delicato di elezione del capo dello stato s’è concluso con un incredibile e disonorevole nulla di fatto. La scelta di confermare il vecchio presidente, a seguito dell’accertata incapacità di eleggerne uno nuovo (Marini, Rodotà o Prodi che fosse), ha costituito un’esplicita dichiarazione di impotenza. Condizione di inadeguatezza resa ancora più evidente dal discorso di re-insediamento di Napolitano dinanzi alle Camere riunite, il quale non ha mancato di richiamare le debolezze dell’attuale sistema politico-parlamentare, mentre i parlamentari applaudivano.
Per non parlare dell’incapacità manifesta di formare un governo dalle chiare connotazioni politiche e di individuare una maggioranza definita. Fosse stata anche la necessità- o più probabilmente le sollecitazioni presidenziali da un lato e la paura di una fine traumatica della legislatura dall’altro – a indurre il Parlamento a conferire la fiducia prima al governo Letta-Berlusconi, poi a quello Letta-Alfano, ora a quello Letta-Renzi, certo non può negarsi che gli equilibri all’interno del Parlamento e con il governo sono stati stravolti. La stessa attività all’interno delle camere non poteva che risentirne.

La fisiologica dialettica tra maggioranza e opposizioni è stata sconvolta, sostituita dalla concentrazione nelle mani dei partiti delle «larghe intese» dei diversi ruoli politico-parlamentari: tutti (o quasi) a sostenere il Governo, ma fino ad un certo punto, dovendo tutti rivendicare la propria diversità. Dunque, svolgendo tanto il ruolo di maggioranza quanto quello di opposizione.
In questo clima confuso le Camere non possono che operare senza direttive sicure, in modo ondivago. Non tanto l’inadeguatezza dei regolamenti parlamentari, quanto l’impossibilità di una loro applicazione coerente allo spirito che deve animare un’efficace attività dell’organo legislativo rende sempre più evidente la paralisi del Parlamento. Non si può certamente imputare alle regole parlamentari, ad esempio, l’inettitudine dimostrata nei confronti della riforma della legge elettorale. È lo stato confusionale in cui versa la politica oggi in Italia che deve essere messa sotto accusa.

È anche vero che non è solo il Parlamento a versare in uno stato comatoso. Anzi esso è un riflesso della condizione in cui versa la politica. Concentrata sui destini personali e sul ricambio generazionale, attraversata da lotte fratricide per il predominio nei feudi e nei territori tradizionali della politica politicante, disposta a scaricare sugli altri (soggetti o istituzioni che siano) le colpe del vuoto di una politica nazionale.
Troppo facile diventa prendersela con l’organo più debole in questo momento in Italia. Il Parlamento, appunto. Così, il Governo scarica le Camere, sottraendo a esse la decisione sul finanziamento dei partiti: l’emanazione di un decreto legge in materia è dei giorni scorsi. Ora, il Presidente della Repubblica bacchetta il Parlamento per avere inserito norme eterogenee in sede di conversione di un decreto legge. Una prassi assai risalente e spesso utilizzata, cionondimeno certamente da condannare. Ma siamo sicuri che il Parlamento sia l’unico colpevole? Anche l’indicazione di una modifica dei regolamenti parlamentari appare francamente riduttiva rispetto alla gravità della crisi in atto, che coinvolge il sistema politico nel suo complesso e i rapporti tra i diversi poteri.
Come può, ad esempio, non considerarsi il ruolo decisivo che ha esercitato il Governo in Parlamento, il quale ha contribuito in modo determinante a far approvare emendamenti eterogenei nel corso dell’iter di conversione del decreto, apponendo persino la fiducia all’ultima votazione; per poi fare una rapida marcia indietro, lasciando solo il Parlamento, unico destinatario delle reprimende del capo dello stato.

Dovremmo tutti preoccuparci dello stato in cui versa il nostro Parlamento, da esso dipendono le sorti della nostra democrazia. Dinanzi a tanta confusione l’accusa delle disfunzioni non basta. Sarebbe auspicabile che qualcuno si ergesse a difensore dell’istituzione parlamentare e richiamasse anche gli altri poteri al rispetto della centralità dell’organo della rappresentanza politica.