In Nigeria, gigante africano e colossale produttore di petrolio, gli attacchi a oleodotti e gasdotti sono sempre più frequenti. Nella ricchissima regione del Delta tutti i grandi produttori mondiali hanno concessioni e infrastrutture che pompano l’oro nero nigeriano. Solo tre settimane fa l’impianto della francese Total è stato oggetto di un sabotaggio mettendo in crisi la fornitura di energia nella capitale Abuja. E a fine novembre quattro uomini, due operai, un autista e un addetto alla sicurezza che stavano lavorando a un oleodotto di proprietà dell’italiana Eni erano stati uccisi da uomini armati appartenenti al gruppo Bayan-Men, che ha subito rivendicato l’attacco.

UN ATTORE NUOVO nello scenario dello stato di Rivers, nell’estremo sud nigeriano. Il portavoce di Bayan-Men, il sedicente generale Agaba, lancia precise accuse all’azienda italiana, che non tratterebbe con le comunità locali, specificatamente con le comunità del clan Omoku. Nelle stesso comunicato i Bayan-Men si definiscono degli intellettuali costretti a sceglier la via della lotta.

Sui rapporti del gigante petrolifero italiano e le comunità locali ha preso posizione anche Ekeuku Pureheart, coordinatore del Forum dei leader giovanili delle comunità Omuku (Ocylf). «La situazione nel Delta è molto complicata perché ci sono tanti equilibri. Gli attacchi alle compagnie sono molto frequenti e vengono fatti da gruppi diversi. Noi condanniamo ogni tipo di violenza, ma Eni deve parlare con le comunità e deve applicare gli accordi sottoscritti con il governo federale. Le 27 comunità del clan Omoku che vivono nella zona si sentono molto trascurate e cresce il malcontento fra di loro. Serve dialogo, servono investimenti e soprattutto serve buona volontà da entrambe le parti. I Bayan-Men sono militanti e attivisti, una specie di crociati per la nostra comunità. Serve subito un accordo perché la situazione potrebbe peggiorare e colpire pesantemente la produzione petrolifera della regione».

UN PORTAVOCE DELL’ENI nega che la società italiana ignori le comunità locali. «Eni ha contribuito costantemente allo sviluppo del territorio, attraverso la fornitura di energia elettrica, acqua, lo sviluppo di infrastrutture come strade, scuole e strutture sanitarie. Nello specifico la comunità Omoku ha beneficiato negli anni di numerose iniziative nei settori dell’accesso all’energia e dello sviluppo. Nei mesi scorsi le operazioni sono state minacciate da un piccolo gruppo terroristico locale autodefinitosi Bayan-Men, a noi sconosciuto, che ha rivendicato due attentati esplosivi. Il gruppo ci ha mosso accuse al fine di ottenere un riconoscimento».

Anche la questione ambientale è un argomento chiave perché le comunità che vivono nel Delta accusano le compagnie petrolifere di aver danneggiato il territorio. Eni respinge anche questa accusa.

«L’INQUINAMENTO ambientale – prosegue il portavoce – è riconducibile alle attività illegali di raffinazione e distribuzione di petrolio che avvengono in impianti rudimentali in aree remote. Vengono illegalmente prelevati decine di migliaia di barili di petrolio al giorno che arricchiscono cartelli criminali senza ricadute positive per le comunità. In Nigeria, negli ultimi 10 anni, la maggior parte degli sversamenti di idrocarburi è dovuta alle cosiddette “interferenze di terze parti”, ossia furti per alimentare reti di raffinerie clandestine o sabotaggi. Eni provvede in ogni caso alla bonifica dei terreni».
Il giornalista nigeriano Tife Owolabi che da anni lavora nel Delta ha le idee chiare sul comportamento ambientale dei colossi. «Generalmente tutte le compagnie petrolifere nei confronti dell’inquinamento tendono sempre ad incolpare qualcun altro per evitare di pagare i danni provocati.

L’inquinamento si presenta sotto molte forme diverse e la giustizia nigeriana tende a colpire chi inquina, ma non cerca mai le cause di quello che è successo. L’Eni non si differenzia dalle altre majors e per quanto riguarda le comunità Omoku nutrono un sospetto reciproco».

SECONDO ANTONIO TRICARICO di Re:Common, che conosce molto bene la realtà nigeriana e quella delle grandi aziende petrolifere, «Eni è in Nigeria da 50 anni e ha accompagnato la storia del Paese. La maggior parte dei cosiddetti sversamenti non sono dovuti a sabotaggi da parte delle comunità locali o da tentativi di furto, ma soprattutto da una cattiva manutenzione degli impianti. C’è grande incuria delle opere infrastrutturali e l’inquinamento del territorio da parte dei giganti petroliferi è confermato anche dal rapporto Unep delle Nazioni Unite».

«Il Delta del Niger – prosegue Tricarico – era un paradiso e oggi è una delle aree più inquinate del mondo. Eni ora vorrebbe lasciare l’area e spostarsi off-shore, subappaltando a compagnie minori perché la Nigeria ha già raggiunto il suo picco di produttività. Spesso le compagnie preferiscono limitarsi a risarcire senza una bonifica del territorio e intere foreste di mangrovie sono andate distrutte riducendo in povertà le comunità che vivevano di pesca. Nello stato di Bayelsa ci sono state fortissime proteste contro Eni che gestisce il grande terminal di Brass a causa dell’inquinamento sistemico del territorio. Ci tengo a ribadirlo: per Eni la stragrande maggioranza degli sversamenti derivano da furti e sabotaggi, ma la realtà è che le loro infrastrutture sono logore e lasciate nella più completa incuria».

Errata Corrige

In Nigeria dopo la dichiarazione di guerra del gruppo armato Bayan-Men all’azienda italiana, l’organizzazione giovanile Ocylf condanna «ogni tipo di violenza» e invita al dialogo. Ma bisogna agire subito, «perché la situazione potrebbe peggiorare e colpire pesantemente la produzione petrolifera della regione». La replica: ««la maggior parte degli sversamenti di idrocarburi è dovuta a furti che alimentano raffinerie clandestine»