Se qualcuno avesse nutrito dubbi sul caos che regna nel governo a proposito della vicenda Tfr, la sgangherata messa in scena degli ultimi due giorni li avrebbe dissipati. Proprio mentre Matteo Renzi dichiarava solennemente di fronte all’assemblea di Confindustria che l’affare era fatto e che di lì a poche ore l’accordo sarebbe stato reso pubblico, il suo sottosegretario Graziano Delrio spiegava in un’intervista al Corriere della Sera che la faccenda era questione non di ore ma di settimane o mesi: «Abbiamo tempo per approfondire il tema».

Una sortita che non è piaciuta affatto a don Matteo, che aveva già dovuto incassare la smentita a stretto giro delle banche. Ci manca solo che il governo parli due lingue opposte nello stesso momento! Detto fatto, nel clima di tolleranza e libertà che vige nel governo del rottamatore, il sottosegretario si è affrettato a smentire se stesso: «Vorrei evitare cortocircuiti», scrive su Facebook rivolgendosi probabilmente al se stesso di 24 ore prime.

Segue disciplinata inversione di marcia: «In queste ore la proposta si sta facendo strada, anche recependo la riforma allo studio all’interno della stabilità». Non arriva proprio a prendersela con il sottosegretario alla presidenza del consiglio che il giorno prima aveva detto il contrario, ma ci va a un pelo. Meraviglie dell’età renziana.

Ovvio che la correzione in schietto stile Pravda non basti al capo. Ancor prima di Delrio aveva già raddrizzato la barra il ministro del Lavoro Giuliano Poletti, pur senza allargarsi troppo (e anche questo è indicativo): «È prevedibile che l’operazione Tfr ci sarà nella legge di stabilità. A questo momento è sì, poi vediamo domani». Cioè oggi, quando il governo dovrà varare la legge di stabilità.

Se Renzi forzerà la mano e insisterà per inserire il Tfr in busta paga nel testo che il governo varerà oggi andrà un bel po’ oltre l’abituale tendenza a giocare d’azzardo: sarà una specie di roulette russa. Il sì delle banche non c’è e non ci può essere perché non c’è neppure una formulazione giuridica sulla cui base valutare l’eventuale accordo. Il semaforo verde delle aziende non c’è, e se la decisione dovesse essere presa solo sulla base della convenienza economica probabilmente non arriverebbe mai.

In realtà è proprio perché consapevole di queste resistenze (alle quali si aggiunge quella del ministro dell’Economia Padoan) che Renzi ha tanta fretta di dare la faccenda per risolta. È convinto che, una volta dato l’annuncio, le controparti si troveranno in una posizione più debole ed esposta e non potranno che cedere alle insistenze di un governo della cui benevolenza hanno bisogno. È una strategia azzardata ma probabilmente non priva di fondamento.

Lo scoglio più minaccioso, su questo come su tutti gli altri fronti economici, è l’Europa. L’accordo con le banche italiane, una volta siglato, dovrà passare al vaglio dell’Eba, l’authority europea bancaria, che tra l’altro proprio tra dieci giorni pubblicherà i risultati degli stress test sugli istituti bancari. Il potere di condizionamento e ricatto del governo italiano, su quel fronte, è molto meno incisivo che sul «fronte interno» ma anche lì don Matteo spera che mettere l’Europa di fronte al fatto compiuto renderà una bocciatura molto meno facile.

Così, contro ogni logica, non è escluso che oggi il governo metta davvero il Tfr nella legge di stabilità o almeno lo annunci a voce. Nel caso, non sarebbe lontano dal falso in bilancio…