Graziano Delrio, ex ministro ed ex capogruppo Pd, non nasconde la sua angoscia per i tempi che stiamo vivendo. «Dopo due anni di questa lunghissima pandemia che ancora non finisce, adesso la guerra nel cuore dell’Europa. Credo sia proprio questo il momento in cui la politica deve utilizzare parole di speranza, indicare una prospettiva non solo militare ma di pace duratura. Non possiamo lasciare che a parlare siano solo le armi, dobbiamo rassicurare, mostrare un orizzonte, far percepire un impegno concreto della politica e dell’Italia per la pace e la sicurezza».

Eppure il ruolo diplomatico dell’Europa stenta a farsi sentire. Ci sono telefonate di Macron e Scholz con Putin, ma la guerra prosegue.

La guerra è sempre un fallimento della politica. È evidente che la responsabilità della situazione è dell’aggressore, ma in questi giorni vediamo i gravi limiti di una Europa che non ha una politica estera e di difesa comune. Questa è una crisi interamente europea, Kiev così come Mosca e San Pietroburgo sono città europee, il problema non è la mancanza di abilità del singolo leader, ma il salto di qualità che ancora non c’è stato. Mi auguro che, come è avvenuto nell’affrontare la pandemia sul fronte sanitario e del debito, questa crisi possa essere l’occasione per l’Ue per fare questo salto nella politica estera che è quanto mai urgente. Altrimenti la nostra voce non si sente.

L’Italia con altri paesi Ue ha deciso di inviare armi all’Ucraina. È la strada giusta?

Ho votato a favore con tormento. Sono un pacifista convinto, consapevole che le armi lasciano sempre dietro di loro tragedie, non mi lascio sedurre dall’idea della corsa agli armamenti, della deterrenza come strada per costruire la pace. Ma questo è un avvenimento eccezionale, la prima volta che i confini di un paese europeo vengono aggrediti dopo la seconda guerra mondiale, e non possiamo invocare il diritto alla resa. La legittima difesa degli ucraini va aiutata, le armi possono servire a rallentare l’invasione e ad aprire trattative su una base più dignitosa per l’Ucraina.

Allungando la guerra aumentano anche le vittime.

Sono per la non violenza, ma non posso chiedere agli altri di arrendersi. La loro resistenza ricorda quella dei partigiani.

Condivide questo paragone storico? Tra il 1943 e il 1945 era in corso una guerra mondiale.

In comune c’è il diritto di resistere a una aggressione così palese, il concetto stesso di resistenza. Lo prevede anche l’Onu. Io avrei scelto un altro tipo di resistenza, ma era nostro dovere dare una mano: questo non significa che la diplomazia debba stare ferma. L’Europa deve parlare di pace, e farlo subito. E la pace si fa col nemico. Come fece Moro nel 1975 con gli accordi di Helsinki tra Russia ed Europa. Era un momento di contrapposizione frontale, eppure ha funzionato. Sono molto preoccupato da una logica bellicista, la scelta della Germania di investire 100 miliardi nella difesa non è una buona notizia.

Lei si è astenuto, con altre due deputate Pd, sull’odg di maggioranza che aumenta le spese militari.

Gli investimenti possono servire se si ragiona su una difesa comune europea, che permette anche di razionalizzare la spesa. Non condivido la logica degli aumenti indiscriminati. Vedo in molti animi quello che Giovanni XXIII definì «una psicosi bellica».

Eppure l’Italia prevede un aumento di 13 miliardi.

Non basta un ordine del giorno, di queste cose bisogna discutere seriamente. Su cosa investiamo? Sulla cyber sicurezza? Certamente. Ma la Francia ha già 300 testate nucleari, non credo proprio che ne servano altre in Europa. La decisione del Parlamento mi pare più figlia di un riflesso automatico che di un ragionamento.

Anche Macron annuncia il riarmo.

Si invocano le armi quando la politica è latitante. Arrendersi alla logica bellica vuol dire negare il principio spesso su cui abbiamo costruito l’Europa. Putin a un certo punto, col suo paese in ginocchio, avrà bisogno di una via d’uscita. Sì, parlare di riduzione delle spese militari in questa fase non è solo utopia. In momenti ancora più difficili si sono firmati trattati per la riduzione delle armi nucleari. Se ci arrendiamo alla logica di Putin siamo noi gli sconfitti. Ora più che mai serve un nuovo trattato per la sicurezza in Europa, Russia compresa. E lo capiranno anche loro. Come diceva Tolstoj, la grandezza della Russia è un fine che si sarebbe potuto perseguire anche senza guerre.

Anche in questa crisi l’Ue è eccessivamente a ruota degli interessi americani?

La colpa è nostra, non possiamo lamentarci del protagonismo degli Usa o della Cina se non siamo in grado di esprimere una politica estera comune. Mi auguro che questa sia l’occasione perché l’Italia, con Francia, Germania e Spagna, avvii una cooperazione rafforzata in tema di difesa.

Come valuta il dibattito italiano di questi giorni? C’è una psicosi bellicista?

Nella nostra società il no alla guerra è un sentimento molto radicato, l’articolo 11 della Costituzione non è stato scritto a caso.

Il governo e il Pd hanno toni troppo bellicisti?

Giusto che l’Europa abbia risposto in modo compatto all’aggressione. E che anche l’Italia sia stata unita. Ma dopo tre settimane questa unità va usata nell’azione diplomatica. Il tempo di parlare di pace è adesso.

Nel Pd si è sentito isolato?

No. Nel Pd ci sono tante sensibilità ma tutti concordiamo sul primato della politica e della diplomazia. E nel rapporto con la Russia noi non abbiamo retropensieri o scheletri nell’armadio.