Quando a inizio luglio furono sbloccati i licenziamenti tutto il mondo politico si indignò per i licenziamenti via Whatsapp e email comunicati ai lavoratori della Gianetti e della Gkn. Da quei giorni si iniziò a parlare di un «decreto antidelocalizzazioni» – la prima fu la viceministra al Mise Alessandra Todde del M5s – che bloccasse queste pratiche e tutelasse i posti di lavoro di queste fabbriche delocalizzate dalla sera alla mattina da imprese tutt’altro che in crisi che hanno rifiutato perfino di chiedere 13 settimane di cassa integrazione Covid, per loro gratuita.

SONO PASSATI OLTRE DUE MESI. Di bozze del provvedimento ne sono girate tante: più passa il tempo e più il testo è annacquato. Sono sparite sia la multa del 2% del fatturato per le imprese che non rispettavano il decreto che la creazione di una cosiddetta black list di imprese che hanno delocalizzato e non avrebbero potuto accedere a incentivi e appalti pubblici. Insomma, le due norme che più colpivano le imprese che lasciano l’Italia nonostante utili e ordini sarebbero già state cancellate.

Anche sul tetto dei dipendenti a cui si applica la norma c’è discussione: la prima bozza prevedeva le imprese sopra i 150, ora il testo prevede sopra i 250 dipendenti, livello che escluderebbe dall’applicazione la Gianetti Ruote e i suoi 152 operai, fabbrica per cui nel frattempo la procedura di licenziamento va avanti con il «mancato accordo» constatato ieri fra azienda e sindacati, smentendo le voci di una richiesta di cassa integrazione per cessazione – varrebbe per un anno – da parte dell’azienda.

Ancor più grave: nessuno pensa che il provvedimento possa riguardare le crisi in corso e molti scommettono sul fatto che non sarà un decreto, ma un semplice disegno di legge, a differenza di tutti i provvedimenti del governo Draghi dalla nascita a ora.

LE UNICHE NORME concordate fra ministero del Lavoro e Mise sono il «preavviso di 90 giorni» e un «piano di mitigazione dell’impatto socio economico» da discutere con i sindacati che – se non rispettato dall’azienda – porterebbe ad aumentare il costo dei licenziamenti per l’azienda.
È chiaro che un testo del genere – un progetto di legge governativo con tempi di approvazione lunghissime e modifiche di un parlamento non certo vicino alle posizioni dei lavoratori – sarebbe un successo per Bonomi e Giorgetti che hanno sempre definito l’ipotesi di un decreto un «provvedimento punitivo per le imprese». La visita al presidio di Giuseppe Conte di martedì potrebbe però cambiare gli equilibri.

Per questo lo stesso collettivo della Gkn fin da subito ha chiesto di poter scrivere assieme al governo il provvedimento. Per questo ha chiamato un gruppo di giuslavoristi a discutere in assemblea giovedì 2 settembre un testo con l’obiettivo primario di mantenere aperta l’attività e i posti di lavoro ed evitare che tanti altri lavoratori in Italia possano vivere l’incubo capitato agli operai di Campi Bisenzio, causato dalla decisione del fondo inglese Melrose.

NEL TESTO «FERMIAMO le delocalizzazioni», «approvato dall’assemblea permanente Gkn», i rappresentanti dei Giuristi democratici individuano otto punti partendo dall’assunto che «l’autorità pubblica deve controllare la reale situazione dell’azienda» che vuole delocalizzare, «al fine di soluzione alternative» reali: «un Piano che garantisca la continuità produttiva e occupazionale» «approvato dall’autorità pubblica, con il parere vincolante della maggioranza dei lavoratori coinvolti». Solo in alternativa «l’eventuale cessione deve prevedere una prelazione da parte dello Stato e di cooperative di lavoratori».

IN EUROPA I PRECEDENTI non mancano. Una sentenza della Corte di Giustizia europea del 2016, prevede che «uno Stato membro sia dotato del potere, in determinate circostanze, di opporsi ai licenziamenti per motivi attinenti alla protezione dei lavoratori e dell’occupazione».
In parallelo al decreto, i Giuristi democratici prevedono che, per «una ponderata valutazione degli interessi incisi» dalla norma, si «ritene necessaria e immediata una sospensione da parte del governo delle procedure di licenziamento a oggi avviate dalle imprese».
A dieci giorni dalla presentazione, nessun riscontro è arrivato dal governo.