È sempre più raro incontrare appassionati di poesia contemporanea che si impegnino a leggere, a capire, a indagare, a presentare e talora illustrare le ragioni e i temi che caratterizzano singole voci poetiche dei nostri giorni. I poeti viventi in genere o vengono assillatamente invocati come vati e maestri di grande valore morale, etico ed espressivo, oppure incasellati nella tutt’altro che invidiabile e desiderabile vasta, grossa, grassa, casella del poetume nostrano. Qualcuno gode anche il favore di oscillare fra l’uno e l’altro polo, a seconda del metro di chi giudica e sentenzia. Spesso i critici di poesia sono giocatori in campo, spadroneggiano con le loro scelte e indicazioni, spalleggiano poeti e reti di poeti che incarnerebbero esperienze e quel coraggio unico che oggi ovviamente si può riconoscere soltanto a chi piace loro. Raramente si incontrano veri appassionati che della poesia sono anzitutto innamorati, anzitutto attratti e vinti, anzitutto discepoli, ma senza avere alcuna celata ambizione, un giorno, di essere conclamati poeti. Una di queste rarities è Elisabetta Motta, insegnante della scuola pubblica brianzola, classe 1966, membro attivo della Casa della Poesia di Monza, consulente letteraria delle edizioni artigianali Il ragazzo innocuo e autrice di alcune pubblicazioni, le ultime delle quali sono La poesia e il mistero (La vita felice, 2016), indagine e dialoghi con dodici poeti viventi, e Degli animali (CartaCanta, 2018), incursione nel bestiario del poeta e narratore Giampiero Neri. Partirei da quest’ultimo libello che mette in evidenza quanto l’opera di Neri (1927) sia un unico ampio libro dedicato alla definizione di un continente naturale, nel quale uomini, animali di acqua e di terra, uccelli e insetti, compaiono, scompaiono, agiscono, reagiscono. Nei suoi amati Teatro naturale (1998), Armi e mestieri (2004), Il professor Fumagalli e altre figure (2012), tutti Mondadori, e l’ultimo Via Provinciale (2017, Garzanti), emerge vividamente quello sguardo che la Motta indica come «sguardo animale»: spesso le figure al centro vengono viste con lo sguardo dell’entomologo e del biologo.

Navigare nella letteratura di Giampiero Neri ci porta a ridefinire la distanza fra lo sguardo razionale di un uomo e quello a noi sconosciuto degli animali, e qui ci sarebbe ancora da differenziale, probabilmente, fra animali addomesticati, che di pensieri e bisogni ne hanno meno rispetto all’ingegno richiesto tuttavia all’animale selvatico, che ogni giorno deve procacciarsi sostentamento, costruire riparo, difendersi per non soccombere agli elementi, alla caccia altrui, all’azione dell’uomo. Il vivere dei poeti inclusi ne La poesia e il mistero ci colloca anzitutto in Lombardia e nella Svizzera di lingua italiana: si tratta di Corrado Bagnoli, Donatella Bisutti, Pietro De Marchi, Davide Ferrari (il più giovane), di nuovo Giampiero Neri, Alberto Nessi, Giorgio Orelli, Giancarlo Pontiggia e Fabio Pusterla; a questo centro sfuggono soltanto il ligure Massimo Morasso, il romagnolo Davide Rondoni e la romana Antonella Anedda. Si tratta di un libro di incontri e dialoghi, di lento avvicinamento, un reale buon avviamento, come si sarebbe detto un tempo, alla professione, no, parolaccia, ecco, al mestiere, alla bottega, all’artigianato ispirato e meditato del poetare a noi contemporaneo. Spesso mi colgo a pensare che cercare di disvelare il poeta/la poetessa dalla sua poesia equivalga a voler accudire un animale separandolo dalla sua pelle. Queste confessioni ci consentono semmai di inciampare negli inciampi stessi dei poeti, nello loro manie e insistenze, nella retorica che ciascuno si costruisce e nelle fragilità. Entrambe le pubblicazioni godono delle fantasiose e talora misteriche illustrazioni di Luciano Ragozzino.