Poi uno dice che al destino non ci crede. Per avere solida prova del contrario, il turista a Lisbona si infili dentro rua da Assunção, nella Baixa. Qui Fernando Pessoa, che nella Baixa trascorreva le sue giornate davanti a un taccuino e a molti bicchieri di vino, incontrò l’unica donna della sua vita, Ofélia Queiroz. Era il 1929, Fernando campava traducendo lettere commerciali, Ofelia faceva la dattilografa. Fu amore di qualche bacio e basta, segnato da lettere, poesie e dal tormento che accompagnerà tutta la breve vita di Pessoa. Nel 1914, al trentanove della rua, aveva aperto i battenti la Casa Valentim de Carvalho, vendita di grammofoni e strumenti, che da lì a poco fonderà la madre di tutte le etichette discografiche lusitane.

Mezzo secolo dopo, negli studi di Paço dos Arcos, entreranno Amelia Rodriguez, Carlos Paredes, António Variações, citandone soltanto alcuni. Potrebbe succedere, oggi, che in rua da Assunção il turista veda un signore, capelli bianchi e ricci scompigliati, oltrepassare l’ingresso della Valentim Carvalho. È lui la miglior dimostrazione di come al destino occorra credere, perché quel signore, italiano, si chiama Mariano Deidda, una vita musicale spesa a mettere sullo spartito liriche e citazioni di Pessoa. Storia recentissima, Deidda ha firmato con l’etichetta di Lisbona un contratto quinquennale, riconoscimento di un lavoro iniziato in patria nel 2000 con l’album Mariano Deidda interpreta Pessoa. Poi Nel mio spazio interiore, L’incapacità di pensare e Mensagem, 12 poesie scelte tra quelle che compongono l’opera omonima, pubblicata da Pessoa alle soglie della morte.

Anche in Italia circola da qualche settimana Pessoa sulla strada del Jazz quattordici tracce scaturite dalle collaborazioni di Mariano con un cast di altissimo livello. Ad accompagnare una voce che sa scavare nella profondità delle timbriche, padrona di versi dalle metriche difficili, sono la tromba di Enrico Rava e del canadese Kenny Wheeler, scomparso tre anni fa; il contrabbasso di Mirsolav Vitous, fondatore dei Weather Report; il pianoforte di Ivan Segreto, il clarinetto di Gianluigi Trovesi, l’intramontabile fisarmonica del quasi novantenne Gianni Coscia. Difficile che di un disco cantato nel nostro idioma, un portoghese comprenda più di qualche parola. Ostacolo sulla via del successo? Deidda smentisce, affermando che la cadenza melodica dell’italiano sprigiona un fascino capace di incantare comunque il pubblico.

Le tappe della strada del jazz compongono un percorso in cui si avverte una simbiosi perfetta e totale, frutto certamente della straordinaria maestria di chi è stato chiamato a compierlo, ma altrettanto certamente di una non comune sensibilità collettiva verso la figura umana prima ancora che poetica di Pessoa. Ne danno saggio Canzone per Lisbona, saudade annunciata dal piano di Segreto e amplificata dalle magie della tromba di Rava; di nuovo Rava, in Non ho fatto altro che sognare, per cesellare un testo fatto di sillabe scandite; lo swing morbido di Maschera persona e L’incapacità di pensare; le dissonanze cercate nel dialogo di voce e strumenti in Don Dinis. Versi come ‘Fantasma errante in sale di ricordi/ al rumore dei topi/ e delle tavole che scricchiolano/ nel castello maledetto/ del dover vivere’ chiedono note alla loro altezza. Deidda ha saputo rispondere con quello che, fin qui, può essere considerato il suo album migliore. Il prossimo, annunciato per il 2018, canterà altre inquietudini dell’uomo che passeggiava lungo rua da Assunção. Ma forse non occorreva specificarlo.