Una nuova definizione dei casi Covid, semplificazione delle quarantene, possibilità da parte delle regioni di mandare le scuole in dad, rimborsi delle spese sanitarie per la pandemia: sono i 4 tavoli di confronto che i governatori hanno con il governo. Su i primi due punti c’è l’accordo di tutti i territori e sono stati al centro degli incontri con i ministri fin da dicembre, l’obiettivo era ottenere modifiche già nel dl Covid pubblicato il 7 gennaio. Mercoledì, in Conferenza Stato – Regioni, sono stati ribaditi.

Calcolo dei positivi: il tema è diventato centrale da quando l’Omicron ha fatto schizzare gli infetti e i ricoveri, le regioni così si tanno avvicinando alla zona arancione. Per scongiurare il passaggio bisogna cambiare i parametri. La richiesta al governo, come ha spiegato il presidente veneto Zaia, è di modificare la definizione di caso Covid in base alle linee guida dell’Ente europeo per il controllo delle malattie: nella categoria andrebbe inserito solo chi, oltre a un tampone positivo, presenti anche sintomi influenzali o malattia respiratoria. L’altra modifica è sul calcolo dei ricoveri Covid: dall’elenco, insistono i governatori, andrebbe tolto chi si reca in ospedale e, asintomatico, risulta positivo al test. Il Piemonte si è già mosso con una circolare alle Asl. La Lombardia si sta attrezzando per scorporare i pazienti con «patologie Sars-Cov2 dipendenti». Ma ieri l’Iss ha puntualizzato: la sorveglianza deve includere tutti i positivi e non solo i sintomatici.

Quarantene: è un tema sul quale l’esecutivo si è dimostrato disponibile nei confronti dei governatori ma non basta ancora. Da un lato il sistema tamponi – tracciamento è saltato, dall’altro per tenere tutto aperto, senza spingere sullo smart working, c’è bisogno di mandare la gente a lavorare. I governatori chiedono di semplificare ancora le regole sull’isolamento per i soggetti contagiati ma vaccinati o guariti da meno di 120 giorni e asintomatici: il periodo è stato già ridotto da 10 a 7 giorni, i presidenti vorrebbero che fosse portato a 5 giorni (come avviene negli Usa) e senza tampone finale.

L’assessore alla Sanità del Lazio, D’Amato: «Occorre semplificare le procedure per gli asintomatici completamente vaccinati. Se il Cts intraprendesse questa linea, non servirebbe contare gli asintomatici». Il governatore ligure Toti: «Il governo decida al più presto di tamponare solo i sintomatici altrimenti non saremo travolti dai malati ma dalle carte e dai tamponi». E Zaia: «C’è il tema delle quarantene non retribuite: non possiamo imporle senza riconoscerle come malattia. C’è il rischio che la gente che ha bisogno di lavorare neghi il contatto con il positivo».

Classi in dad: il premier Draghi non ha intenzione di concedere spazi alle regioni. In zona bianca non è possibile introdurla, in gialla e arancione i governatori possono utilizzarla solo in aree circoscritte e per specifici motivi epidemiologici. Il dpcm che ha introdotto le regole è stato emanato proprio per sottrarre la leva ai presidenti che, di conseguenza, non sono tutti convinti di voler andare allo scontro. Ma il malumore c’è e in alcuni territori è forte, come la Campania dove De Luca ha emanato l’ordinanza sulla dad sapendo che il governo l’avrebbe impugnata, cancellandola. Il tema è stato rimandato alla prossima riunione. Del resto, resta la possibilità in capo ai comuni di introdurre la dad, con il rischio di moltiplicare le differenze soprattutto se casi e quarantene dovessero aumentare.

I presidenti avevano chiesto che si pronunciasse il Cts ma il parere non è stato chiesto dal governo, un copione che si è ripetuto mercoledì sul Protocollo sport: l’indicazione del 35% di positivi nel gruppo atleti per fermare la squadra non è arrivata dal Cts (che si esprimerà oggi, a intesa Stato – Regioni già siglata). E allora ci si chiede se il ruolo dei tecnici sia lo stesso della prima fase dell’emergenza o sia cambiato con l’arrivo di Mario Draghi.

Rimborsi per le spese sanitarie Covid: le regioni chiedono 1,2 miliardi, per adesso sono stati riconosciuti 600 milioni. L’interlocuzione con il Mef è aperta e potrebbe arrivare una proposta di mediazione tra i due estremi ma resta un punto di fondo che i presidenti vogliono affermare: se si dichiara lo stato d’emergenza i fondi per affrontarlo devono essere nazionali, soprattutto adesso che l’Ue concede scostamenti di bilancio.