Pronti a sforare il tetto del 3% pur di mettere subito in cantiere reddito di cittadinanza, Flat Tax e revisione della Fornero. Tria permettendo però, e Tria decisamente non permette. Da Pechino il ministro dell’Economia smentisce clamorosamente il vicepremier a cinque stelle, che aveva appunto messo sul tavolo lo sforamento in un’intervista al Fatto: «Non lo escludo. Se servirà per i nostri obiettivi accederemo agli investimenti in deficit. La regola del 3% la ha definita sbagliata il suo stesso inventore». Tria tira il freno con tutte le sue forze: criticare il tetto «è molto diverso dal dire che lo supereremo. Nel confronto con la Ue non vedo grandi conflitti di mia competenza».

QUELLE DEL MINISTRO dell’Economia non sono parole adoperate alla leggera. Nei conti del ministero, in vista della revisione della legge di bilancio, il limite del 3% non solo non verrà superato ma la manovra se ne terrà ben lontana, anche se, data la situazione meno rosea delle previsioni, andrà di qualche decimale sopra le previsioni. A farne le spese saranno proprio le tre riforme citate da Di Maio, incluso in particolare quel reddito di cittadinanza che per M5S rischia di diventare questione di vita o di morte.

AD ALLUDERE PER PRIMI alla possibilità di sforare il parametro chiave erano stati in realtà due leghisti, il sottosegretario Giorgetti e poi, pur se solo criticandolo senza parlare di sforamento, il presidente della commissione Finanze del Senato Bagnai. Tuttavia la sensazione diffusa nei palazzi della politica, in questi giorni, è che il più determinato nello sfidare la Ue sia invece proprio Di Maio. La Lega, grazie alla campagna contro gli immigrati, gode infatti di una rendita di posizione che permette comunque di macinare consenso. M5S, invece, soffre ogni giorno di più l’iniziativa del Carroccio e dell’incontenibile Salvini. Deve quindi incassare qualcosa da rivendicare sul fronte delle riforme economiche promesse.

IL MOMENTO DELLA VERITÀ arriverà quando Tria renderà pubbliche le cifre della manovra: solo a quel punto la maggioranza, ma M5S anche più della Lega, dovrà decidere se accontentarsi del poco che, se i conti non cambieranno nelle prossime settimane, il Mef concederà oppure se aprire un conflitto all’interno del governo prima ancora che contro Bruxelles. Col rischio di una rottura con Tria che implicherebbe la crisi.

DI CERTO IL QUIRINALE FARÀ il possibile per stemperare e mediare. Lo sta anzi già facendo, con una serie di colloqui riservatissimi. Pur senza allarme rosso, sul Colle la preoccupazione è tangibile. Non tanto per l’eventualità di una sfida con la Ue, che alle porte di elezioni difficilissime dovrebbe dimostrarsi più disposta del solito a negoziare sia pur con le dovute forme e senza atteggiamenti troppo arroganti da parte di Roma, quanto per il rischio di impazzimento dei mercati.

Indipendentemente da quello che sarà l’esito finale della trattativa nell’esecutivo e di quella con la commissione europea, infatti, le dichiarazioni incendiarie e soprattutto le oscillazioni tra l’assicurazione che il debito non crescerà e la minaccia di sforare il 3% rischiano di aprire la porta alla speculazione. Con uno spread che resta pericolosamente vicino alla soglia dei 300, oltre la quale la minaccia di una spirale diventa concreta, il rischio è alto. Proprio per questo Tria si è affrettato a smentire Di Maio, aggiungendo che «lo spread attuale non risponde ai fondamentali e alla solidità dell’Italia».

IL MINISTRO NEGA decisamente di essere in Cina alla ricerca di acquirenti per i titoli di Stato. Peccato che Salvini, nella conferenza stampa dopo l’incontro con Orban, quasi affermi il contrario. Prima, proprio a proposito della missione di Tria, parla della necessità di costruire «solidi rapporti economici e finanziari» con la Cina. Poi affonda la lama: «Se qualcuno intendesse speculare sulla pelle degli italiani noi contiamo di avere un sostegno fuori dei confini europei». Cioè in Russia e in Cina. Parole che devono aver fatto poco piacere a Bruxelles, perché indicano una direzione di marcia tutt’altro che europeista, ma anche sul Colle, perché alzano la tensione e aumentano il rischio di arrembaggio speculativo in autunno.