La ripresa è difficile – «incerta» aveva detto due giorni fa il presidente della Bce Mario Draghi – e il governo è costretto a tagliare nettamente le sue previsioni di crescita: «Nello scenario programmatico – dice il Def approvato ieri sera dal consiglio dei ministri – il Pil è previsto crescere dell’1,2 per cento nel 2016, in linea con lo scenario tendenziale, ma rivisto al ribasso rispetto alla nota di aggiornamento del 2015». La previsione a cui si fa riferimento era ben lo 0,4% più alta, ovvero all’1,6%.

Tagli previsti anche per il prossimo triennio: nel periodo 2017-2019, la crescita del Pil è «attesa più elevata» – dice il documento elaborato dal ministero dell’Economia – ma sempre al ribasso rispetto ai numeri indicati nel settembre scorso. Nel 2017 la crescita del Pil dovrebbe essere dell’1,4% (era all’1,6% nella precedente stima), nel 2018 dell’1,5% (invariata), nel 2019 di nuovo dell’1,4% (ritoccato all’insù rispetto all’1,3% dell’ultima stima)..

Piccolo ritocco per il 2016 per quanto riguarda il rapporto fra decifit e Pil, che viene portato al 2,3% (rispetto al 2,2% precedente): numero che rappresenta un compromesso rispetto al 2,4% a cui si puntava se si fosse potuta sfruttare a pieno la «flessibilità migranti» richiesta dal governo alla Commissione Ue.

Ben più alto il gap riscontrato invece nel dato previsto per il 2017: il rapporto deficit/Pil viene portato dall’1,1% all’1,8%, guadagnando quindi ben 0,7 punti percentuali (pari a 11 miliardi di euro).. E in questo caso, implicitamente, è contenuta la richiesta di una nuova flessibilità, anche per l’anno prossimo: nodo che verrà affrontato a suo tempo, a maggior ragione se si pensa che l’Italia prima dell’estate è chiamata a nuovi giudizi della Ue sulla struttura economica delineata nell’ultima legge di Stabilità.

D’altronde bisogna ricordare che sui recenti Def (cadenza primaverile) e leggi di Stabilità (da redigere a fine anno) non sono mai mancati negli ultimi anni macigni come le clausole di salvaguardia, che se non soddisfatte minacciano rialzi di Iva e accise. Incrementi di tasse che il governo, ovviamente, vuole evitare per non perdere consensi, e così si agisce il più possibile sul deficit: per non far scattare le clausole al prossimo giro (manovra per il 2017) serviranno 15 miliardi.

Così il celebre “pareggio di bilancio”, indicato addirittura in Costituzione dai burrascosi tempi del governo Monti, viene anno per anno rimandato. Nell’ultimo Def si scrive che «negli anni successivi (al 2017, ndr) il saldo continuerà a migliorare, fino a raggiungere un lieve surplus nel 2019».

Performance “deludente” anche per il debito pubblico, che dovrebbe scendere meno del previsto. Nel 2016, secondo le stime aggiornate del governo, dovrebbe arrivare al 132,4% del Pil, contro il 132,7% dell’anno scorso. Comunque un punto in più rispetto al valore indicato a settembre.

Per quanto riguarda l’inflazione, vengono invece sostanzialmente confermate le stime dello scorso settembre: il Def parla di 1,3% nel 2017 e di 1,6% nel 2018 (immutato il primo dato, mentre il secondo è stato leggermente ritoccato rispetto all’1,5% previsto alla fine dell’anno scorso).

Il tasso di disoccupazione dovrebbe scendere quest’anno all’11,4%, per passare sotto la soglia del10% nel 2019.

«Non faremo manovre correttive, termine che abbiamo rottamato», ha assicurato il presidente del consiglio Matteo Renzi in conferenza stampa. E anche il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan cerca di sottolineare gli aspetti positivi: «La crescita c’è, la trainano i consumi delle famiglie e gli investimenti, sia pubblici che privati, mostrano un’accelerazione». Elementi che fanno rivendicare al dicastero di via XX Settembre «l’effetto positivo delle misure del governo».

Un messaggio, Padoan lo rivolge anche alla Commissione Ue: «L’argomento che l’Italia chieda troppo – spiega ai giornalisti – è semplicemente sbagliato. L’Italia ha più flessibilità perché è più in regola di altri per le riforme messe in campo e per gli investimenti». «L’Italia è in regola, non ingorda», conclude il ministro.