Le critiche alle previsioni del governo contenute nel Def e ritenute irrealistiche ovunque tranne che a palazzo Chigi e al Ministero dell’Economia? «E’ la stessa solfa tutti gli anni. La polemica sui numeri arriva puntuale come le occupazioni studentesche e le polemiche sul campionato». Parola di Matteo Renzi che dopo aver tenuto faticosamente a freno l’arroganza per qualche settimana non ce la fa più e sbotta. Tanto da non rendersi conto, si direbbe di cosa sta dicendo. Al lungo corteo che non crede alle rosee cifre di Renzi e Padoan si è aggiunto ieri anche l’Fmi. Prevede lo 0,9% invece dell’1% fissato dal Def e al governo già hanno brindato: «In fondo ci si avvicina». O meglio, avrebbero brindato se le contestuali cifre sul debito non fossero raggelanti. Su quel fronte non si vede nemmeno una pallida luce: 133,2% quest’anno dal 132,7% dell’anno scorso, 133,4% l’anno prossimo. Se tutto va bene. Niente paura: i gufi stanno dappertutto, mica solo in Italia.

Trattare mezzo mondo da occupanti autunnali delle scuole medie però non basta. Renzi sparge ottimismo: «Se le previsioni erano giuste lo dico l’anno prossimo. Ma posso dire sin d’ora che l’ultima volta eravamo stati troppo prudenti. Le cose sono andate meglio di quanto preventivato». Ci vuole una faccia tosta da applauso per fare una simile affermazione subito dopo aver dovuto correggere le stime al ribasso, ma si sa che Renzi non ne difetta. Non che si possa essere del tutto contenti: «Le cose vanno meglio, non ancora bene. La macchina è ancora un po’ imballata».

Renzi risponde così all’offensiva non solo delle opposizioni ma anche, se non soprattutto, della minoranza del suo partito. Le prime insistono per il ritorno di fronte alla commissione di Padoan e mitragliano la manovra accusandola di buttare là cifre inattendibili giocando con l’eterna finanza creativa. I secondi chiedono addirittura di bloccare l’iter del Def. «Andare avanti dopo la netta e inequivocabile presa di posizione dell’Ufficio parlamentare di bilancio non è possibile. Senza la validazione dell’Upb non si possono realisticamente esprimere i pareri obbligatori delle commissione», scrive Fornaro, minoranza Pd in commissione Finanze del Senato. Di conseguenza urge incontro chiarificatore tra governo e Upb, passaggio che Renzi dovrà probabilmente far affrontare a Padoan.

Non è solo una questione di conti. Sullo sfondo campeggia come sempre il referendum. Arrivare alle urne con una Legge di bilancio non solo corretta al ribasso ma revocata in dubbio in patria come all’estero e addirittura bloccata dal parere negativo dell’Upb vorrebbe dire sfidare la sorte e la pazienza del popolo votante oltre misura. Del resto il referendum pesa anche direttamente sulle difficoltà del Def. Tra i motivi di dubbio accampati dalla Banca d’Italia, infatti, figura ai primi posti proprio la mancata spending review, sostituita anzi da un aggravio di spesa. Ma Renzi non se la sente di affrontare la prova delle urne senza aver prima distribuito prebende nella speranza di conquistare qualche voto.

A rendere l’intera vicenda ancora più imbarazzante per il governo ci sono le incaute prese di posizione referendarie di Padoan. Il ministro ha scritto nel Def che la previsione dell’1%, quella che tutti definiscono azzardata, è vincolata alla vittoria del Sì. Dopo le critiche di tutta l’opposizione deve essersi reso conto che profetizzare sfaceli economici in caso di vittoria del No non è precisamente quanto ci si attende da un responsabile ministro dell’Economia. Quindi corregge: «Quel timore non lo ho messo in giro io. E’ qualcosa che le banche d’investimento fanno da sole da settimane». Il governo, anzi, prova a convincerle del contrario. Purtroppo inutilmente. E’ una retromarcia ma più goffa di come non si potrebbe. Quasi una toppa peggiore del buco.