Crescita anemica, o stagnazione secolare. Questa è la normalità con la quale il governo dovrà scendere a patti. Lo si è visto con la previsione del Pil nel Documento di Economia e Finanza 2016: la crescita è stata tagliata all’1,2%. Ma le incognite sono tante. Nell’audizione in commissione Bilancio alla Camera, Bankitalia ha detto che la previsione del ministro dell’Economia Padoan non è implausibile, ma certo le cose potrebbero anche peggiorare nel corso dell’anno.

Ieri è stato il turno del presidente dell’Istat Giorgio Alleva secondo il quale il Pil crescerà nei primi tre mesi dell’anno dello 0,3%. Benino, ma per arrivare al traguardo indicato dal governo servirà un’accelerazione dell’economia nella seconda parte dell’anno. Che, al momento, non è affatto scontato. Perché la crescita, ha ricordato l’ufficio parlamentare di Bilancio, nostra «caratteristiche di anomala lentezza» se confrontata «con le precedenti fasi cicliche espansive». Preistoria del capitalismo fordista, almeno in Italia. Servono investimenti. Il Def le spara grosse: punta a una crescita del 2,2% nel 2016.

In un solo anno, Renzi e Padoan puntano a un aumento sostanzioso: nel 2015 gli investimenti erano allo 0,8% del Pil. Cifre da capogiro, e i progetti ci sarebbero. Solo che, ha avvertito Confindustria, non molti sono in fase esecutiva. Praticamente, restano sulla carta. E l’Italia di strada ne deve recuperare parecchia. Tra i paesi europei ha registrato un crollo drastico degli investimenti da quando la crisi è iniziata.

«È impressionante comparare la performance degli investimenti negli ultimi anni con quella dei principali paesi europei – ha detto Alleva – La scommessa sulla domanda interna è sugli investimenti che sono stati completamente assenti in questi anni». Riusciranno i nostri eroi a invertire la tendenza? A parte i progetti su carta, Renzi ha puntato tutto sulla politica dei bonus per rilanciare i consumi interni. Gli esiti, fino ad oggi, sono stati deludenti: le famiglie non spendono abbastanza, anche se cresce la «fiducia». Non basta. Perché – sempre secondo l’Istat – «è necessario un miglioramento del mercato del lavoro per sostenere un aumento del reddito disponibile».

Il taglio degli incentivi alle imprese per le assunzioni dimostra che sul mercato del lavoro non brillerà il sole nel prossimo biennio. La costosa «droga» renziana sta finendo e l’accelerazione della crescita si allontana. Sul terreno resta la povertà. Se, infatti, la condizione economica delle famiglie «è migliorata», continua la «grave deprivazione materiale». La quota si è attestata all’11,5%, stabile rispetto al 2014, ha ricordato Alleva. Nel 2015 era in condizione di povertà 1 milione 340 mila minori, il 13% degli under 18. Per loro, niente crescita.